mercoledì 13 novembre 2013

Armi per tutti

Qualche giorno fa, Papa Francesco chiedeva ai fedeli, e al mondo, "tante guerre sono fatte per risolvere problemi o per vendere armi?". 


foto dalla rete
Una domanda che trova una facile risposta guardando i dati del commercio internazionale di armi: nel 2011 il fatturato complessivo è stato di 411,1 miliardi di dollari (non sono contabilizzati i dati della Cina). L'incremento è solo del 1% rispetto dal 2010, ma ben del 60% rispetto al 2002! Avete capito bene, dal 2002 al 2011, anni in cui tutti i commerci hanno subito gli effetti della crisi del 2008, il fatturato del commercio di armi è aumentato del 60%.

Parliamo di commerci legali (il traffico d'armi, ovvero quello illegale, pur non avendo una contabilità ufficiale, ammonta a diversi miliardi di dollari ma segue strade parallele), quelli che lo Stockholm International Peace Intituite da anni monitorizza con molta cura.

A detenere il controllo delle vendita di armi sono gli Stati Uniti (30% del mercato), seguiti da Russia (26%), Germania, Francia, Cina, Regno Unito, Spagna, Italia, Ucraina e Israele.
Di contro ad acquistare armi sono nell'ordine India, Cina, Pakistan, Corea del Sud, Algeria, Australia, Stati Uniti, Uzbekistan e Arabia Saudita.

Vi è da segnalare, per quanto riguarda il continente africano, che il mercato legale è passato dal 4% di quello totale mondiale nel periodo 2003-2007 al 9% nel periodo 2008-2012. Ma, i dati non devono ingannare, perchè molti sono i paesi africani sotto embargo d'armi e tutti i conflitti non sono tra stati, ma tra gruppi (movimenti, guerriglie, estremismi) che attingono esclusivamente dal mercato illegale.
Vi è anche una forte produzione interna di armi, capeggiata dal Sudafrica che ospita ben 700 aziende produttrici di giocattoli di morte.

Questi almeno sono i flussi ufficiali del mercato delle armi. Il confine tra l'area legale e quella illegale è spesso flebile. Armi acquistate (o prodotte) legalmente possono, all'occorrenza, diventare clandestine e rifornire paesi sotto embargo (erano una ventina lo scorso anno), guerriglie, gruppi terroristici e estremistici. Il business è colossale.

Le maggiori aziende mondiali nella vendita di armi sono nell'ordine la Loockeed Martin (USA), la Boeing (USA), la BAE Systems (UK), la General Dynamics (USA), la Raytheon (USA), la Northron Grumman (USA), il consorzio europeo EADS, la Finmeccanica (Italia), la BEA Systems USA e la United Technologic (USA). 

Il mercato italiano è saldamente (almeno per i grandi livelli) nelle mani della Finmeccanica (la difesa era il 58% del suo fatturato), che è per il 30% statale, anche attraverso le sue "controllate" come la Agusta Westland, la Alenia, Oto Melara e la Selex Galileo. Altri produttori d'armi sono la Fincantieri e la Avio, oltre ai "famosi" produttori di armi leggere (come Beretta).

Domani partirà per una missione di presentazione delle "eccellenze italiane" la portaerei Cavour (accompagnata dal lanciamissili Bergamini e dalla nave logistica Etna), che in 5 mesi di viaggio, toccherà 13 porti africani (Algeri, Casablanca, Dakar, Tema, Lagos, Pointe-Noire, Luanda, Cape Town, Durban, Maputo, Antseranana, Mombasa e Gibuti) e 7 del golfo-persico.
foto dalla rete
Tra queste eccellenze spiccano le armi pesanti del gruppo Finmeccanica, quelle leggere di Beretta assieme ai dolci della Ferrero, ai motoscafi del Gruppo Ferretti e ai pneumatici della Pirelli. Insomma un viaggio del "made in Italy", una fiera itinerante finanziata in parte dallo Stato Italiano e che toccherà i paesi più sensibili al tema delle armi: quelli in guerra o finanziatori occulti dei conflitti nel mondo.



La polemica, comprensibilmente, si è subito innescata

Allora, Santo Padre, con tutto il rispetto: Le sembra una domanda da fare? Un uomo grande e potente come lei, ancora si chiede se sia l'enorme fatturato delle armi a tenere in piedi i conflitti nel mondo?

per approfondire:
il sito  dell'OPAL (Ossevatorio Permannte sulle Armi leggere) di Brescia
il sito della rete Disarmo (www.disarmo.org)

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