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venerdì 30 settembre 2011

30 settembre 1966, il Botswana è uno stato indipendente

Il territorio che oggi conosciamo come Botswana (la terra dell'etnia Tswana che oggi rappresenta circa l'80% della popolazione) era noto agli inglesi come Bechuanaland (terra dei Bechuana, che nella calligrafia moderna diventa Batswana o Tswana). Divenne appunto protettorato inglese alla fine del 1800 (31 marzo 1885). Si tratta di uno stato di grandi dimensioni (quasi 600 mila chilometri quadrati), circa due volte l'Italia, con una popolazione di appena 2 milioni di abitanti. Originariamente il territorio chiamato Bechuanaland comprendeva anche un'area a sud che divenne parte integrante del Sudafrica.
Il padre dell'indipendenza è ritenuto unanimamente Seretse Khama, nipote del re Khama III, nato nel 1921. Seretse, il cui nome significa "argilla che tiene uniti" ha in qualche modo il destino segnato (è autore della riconciliazione tra padre e nonno) e successivamente sarà l'artefice dell'indipedenza e della convivenza tra bianchi e neri. Si laurea in legge ad Oxford, dove nel 1947 conosce, e l'anno successivo sposa, un'impiegata bianca inglese, Ruth Williams. Il loro matrimonio - che avvenne nello stesso anno in cui nel vicino Sudafrica si promulgavano le leggi segregazioniste - venne prima osteggiato (saranno costretti anche all'esilio) ed infine diventerà una straordinaria risorsa per il paese. La coppia tornò in Botswana nel 1956 e nel 1961 Khama fondò il Partito Democratico del Bechuanaland (BDP) di ispirazione nazionalista che nel 1965 vinse le elezioni. Khama divenne Primo Ministro e il 30 settembre 1966 nel giorno della proclamazione dell'indipendenza divenne il primo Presidente della Repubblica del Botswana. La coppia Seretse-Ruth fu in grado anche di permettere una pacifica convivenza tra bianchi (oggi rappresentano il 7% della popolazione) e neri. Nella bandiera questa convivenza fu simboleggiata dalla striscia nera centrale avvolta da due strisce bianche.
Grazie ad un massiccio piano di riforme, ad una lotta importante alla corruzione e alle nuove scoperte delle miniere di diamanti (avvenute nel 1967), il Botswana è stato trasformato da uno dei paesi poveri dell'Africa ad un paese che ha visto una continua crescita economica, una politica stabile e democratica (oltre 40 anni di governi civili, nessun colpo di stato e regolari elezioni) e uno sviluppo sociale e culturale che ne fanno oggi uno dei paesi più dinamici del continente. Oggi è un paese dove, grazie ai suoi parchi naturali, il turismo cresce di anno in anno.
Khama morì il 13 luglio 1980 di un tumore dopo aver governato per 14 anni ed aver rilanciato il paese. Dal 2008 alla guida del Botswana vi è il figlio primogenito di Seretse, Ian Seretse Khama, nato nel 1953. Ruth Williams, è morta nel 2002.
Sulla storia della coppia nel 1990 è stato girato un film-tv, diretto da Michael Duffield, A Marriage of Inconvenience.

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giovedì 29 settembre 2011

Libri: Land Grabbing

Il libro di Stefano Liberti, pubblicato nel giugno 2011 da Minimum Fax, casa editrice romana, Land Grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo è, come viene sottolineato in quarta di copertina "il primo reportage al mondo sull'allarmante e dilagante fenomeno del land grabbing". Il Land Grabbing, letteralmente "accaparramento di terra", è un fenomeno iniziato in modo massiccio dopo la crisi alimentare del 2007-2008, in cui paesi che dispongono di denaro (o multinazionali dell'agrobusines), affittano o comprano terre fertili in altri paesi (generalmente poveri) dove coltivano generali alimentari per i propri bisogni o prodotti per i biocarburanti.
Il lavoro di Liberti è quello della vera e propria inchiesta giornalistica, quella che non parte da un pensiero pre-costruito, ma raccoglie, attraverso l'indagine sul campo, le interviste con gli interessati e lo studio dei documenti, tutte le informazioni necessarie per permettere al lettore di comprendere i meccanismi che sottostanno al fenomeno e di conseguenza conoscerne pregi e vantaggi, difetti e pericoli. Un lavoro appassionato e rigoroso, come oramai è sempre meno frequente vedere, che ci guida nell'intrigato mondo della politica internazionale e del mercato globale che con la corsa all'acquisizione delle terre stanno cambiando il volto del Sud del mondo
Il libro si apre con il caso Etiopia, forse quello più importante e massiccio, per poi trasfreirsi in Arabia Saudita, Brasile, Tanzania e gli Stati Uniti, oltre che la FAO e le sedi degli incontri finanziari. L'Etiopia, come ci documenta Liberti, rappresenta per le sue caratteristiche il luogo ideale per gli investitori della Penisola araba: e' molto vicino geograficamente, ha una terra fertile e ricca d'acqua (nell'area degli altopiani), tutta la terra per Costituzione è di proprietà dello Stato e da oltre vent'anni è guidato in pratica da un partito unico senza opposizione. Quando a seguito della crisi alimentare del 2007-2008 è iniziata da parte dei Paesi Arabi (ma non solo) la corsa per accaparrarsi le terre fertili, la scelta dell'Etiopia è stata naturale.
Il viaggio si chiude in Tanzania, la nuova frontiera dei biocarburanti.
Ma la cosa forse più sorprendente è che nel libro Liberti smonta il falso mito per cui a guidare i paesi che si stanno "accaparrando" le terre in Africa sia la Cina. Con documenti e dati egli dimostra come la politica cinese nel continente abbia, per ora, altri obiettivi.

Un libro senz'altro da leggere, per capire le complessità africane.

Stefano Liberti è un giornalista, nato nel 1974, che pubblica i suoi reportage, soprattutto sull'Africa, su Il manifesto e altri periodici italiani ed esteri. Si è occupato anche di immigrazione in Italia, pubblicando nel 2008, sempre per Minimum Fax, un'inchiesta intitolata A sud di Lampedusa. Collabora anche con Silvestro Montanaro al programma televisivo C'era una volta.
Ecco una sua breve intervista sul libro.


Sancara aveva già pubblicato lo scorso ottobre un post titolato Land Grabbing: l'Africa in vendita. Vi invito anche a diffondere l'appello riportato qui sotto, perchè da quello che accadrà nei prossimi mesi o anni dipenderà non solo il destino di alcune popolazioni degli altopiani etiopici (e non solo) ma anche del mondo in cui tutti noi viviamo.

Le organizzazioni  non governative, i movimenti dei piccoli agricoltori e le comunità locali a seguito del World Social Forum che ha avuto luogo a Dakar nel febbraio 2011, hanno lanciato un appello (Appello di Dakar), contro il Land Grabbing. E' un appello rivolto agli Stati e alle Organizzazioni Internazionali che è possibile firmare fino al 7 ottobre 2011 e che ha lo scopo di sensibilizzare sul tema e impedire scelte che rischiano di compromettere per sempre la situazione. Infatti dal 10 al 14 ottobre si terrà a Roma - presso la FAO - un vertice per discutere le Linee Guida per una Governance Responsabile dell'Agricoltura voluti dalla Banca Mondiale. Le organizzazioni contestano il fatto che "l'affitto o l'acquisto delle terre" possa essere responsabile. Il Land Grabbing deve essere bloccato.

Taxi Brousse, per conoscere

Uno dei modi semplici, economici e per nulla comodi per spostarsi in Africa (ma la cosa, mi dicono, vale anche per il Sud America) sono i taxi collettivi che ovunque sono conosciuti come Taxi de brousse (taxi della foresta) sintetizzato in Taxi Brousse (che nei paesi anglofoni diventa Bush Taxi)
Sono appunto mezzi collettivi, per lo più furgoncini, che collegano città spesso distanti centinaia di chilometri, imbarcando dentro e sopra ogni sorta di materiale: umano, animale e inanimato. Gli autisti sono dei "geni dello stipamento": sono capaci di occupare ogni centimetro quadro disponibile, di ottimizzare ogni singolo spazio in modo da non dover mai rispondere ... non vi è posto.
Vi sono luoghi prefissati da dove partire e allo stesso tempo si può salire o scendere in qualsiasi momento. Talvolta i mezzi sono così mal ridotti che ci si sorprende nel verificare che ancora sono capaci di percorre chilometri su strade tutt'altro che in buone condizioni. Non è raro vedere qualche taxi brousse fermo in avaria ai lati della strada. Ma il fatalismo e la pazienza, tipica degli africani, consente di riparare e ripartire sempre..... in fin dei conti è solo una questione di tempo.

Il taxi brousse è un'esperienza da non perdere, una delle forme più genuine e divertenti per avventurarsi nel continente, per conoscere luoghi e persone.

Qualche giorno fa, un caro amico, giornalista radiofonico, mi ha comunicato che dal 3 ottobre partirà il suo nuovo programma radiofonico su Afriradio che parla delle tante sfaccettature dell'Africa. Il suo nuovo programma (prima conduceva un programma chimato Afritour) si chiamerà appunto Taxi Brousse proprio a rimarcare quel contenitore dove vi stanno molte cose, diverse tra loro, ma che insieme compongono quel magnifico quadro chiamato Africa. Prosper Nkenfack, che ha anche creato un blog per il programma, andrà in onda su Afriradio tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, dalle 16 alle 17.
Questa su nuova idea ha ispirato i ricordi e questo breve post.

lunedì 26 settembre 2011

Wangari Maathai (1940-2011)


E' morta ieri, 25 settembre, in Kenya all'età di 71 anni Wangari Maathai, biologa e veterinaria, Premio Nobel per la Pace nel 2004 per il suo contributo allo sviluppo sostenibile. E' l'unica donna africana ad aver ottenuto il Premio Nobel.
Tra le tante cose è stata fondatrice del Green Belt Movement.



Sancara aveva dedicato un post ai Premi Nobel africani.

Ecco la sua scheda nel sito dei premi Nobel.

26 settembre 2002, traghetto affonda al largo del Gambia, una strage

Quella del 26 settembre 2002 non è certo una data storica per l'Africa, ma è senz'altro una giornata molto triste per molti. In quella giornata avvenne, nel silenzio, il più grave disastro marittimo africano ( e il secondo per numero di vittime nel mondo). Il traghetto Joola (nella foto) di oltre 79 metri, di proprietà dello stato senegalese, gestito dall'esercito che effettuava la rotta Dakar-Ziguinchor  affondò nella notte nelle acque dell'Oceano antistanti al Gambia. Fu una strage (vedi articolo sul Corriere della Sera del 28 settembre, in cui ancora si parla di 736 imbarcati). Ancora oggi non si conosce il numero esatto delle vittime sebbene molti fonti riportano il numero di 1863. Secondo i dati raccolti furono imbarcate almeno un numero vicino alle 2000 persone (di cui sicuramente 1034 con regolare biglietto, i bambini sotto i cinque anni non pagavano ed era prassi imbarcare persone senza biglietto), in una nave, la Joola (costruita in Germania nel 1990) che poteva ospitarne massimo 580. I superstiti accertati furono 64.
Vi sono anche immagini e un video amatoriale che ritraggono la partenza dello Joola da Ziguinchor, stracolmo di persone, visibilmente inclinato e con un motore in avaria. La forte pioggia e il vento, fecero il resto.
Alle 23.00 avvenne il disastro, secondo i superstiti, la nave si capovolse in 5 minuti, continuò a galleggiare fino alle 15.00 del giorno dopo quando si inabissò (nella foto si vede lo scafo rosso). I soccorsi ufficiali giunsero solo al mattino dopo, mentre alcuni pescherecci salvarono i pochi superstiti.

Ecco comunque il rapporto finale sul disastro del novembre 2002.

Pochi giorni dopo, il 4 novembre, il presidente del Senegal fece dimettere il Primo Ministro, Madiar Boye, l'unica donna che aveva ricoperto questo incarico in Senegal, e il suo governo. Nel settembre 2008 un giudice francesce, Jean Wilfrid Noel, ne chiese l'arresto per i fatti del Joola assieme ad altri 8 imputati (tra cui l'allora Ministro dei Trasporti e i vertici militari). Nel giugno 2009 la richiesta di arresto fu annullata.
I familiari delle vittime sono ancora in attesa.

Per la cronaca il servizio ferry tra Dakar e Zinguichor fu sospeso fino all'11 novembre 2005 quando fu ripreso con il traghetto "Willis". Dal 2008, dopo una lunga sospensione, il servizio è effettuato con la nave "Alme Sidoe Diatta".





sabato 24 settembre 2011

24 settembre 1973, la Guinea Bissau proclama l'indipendenza

La Guinea Portoghese (oggi conosciuta come Guinea Bissau) conquistò, così come tutte le colonie portoghesi africane, l'indipedenze molto più tardi degli altri paesi africani amministrati da inglesi, francesi e belgi. Inoltre, avvenne per l'Angola e il Mozambico, dopo una decennale e sanguinosa  lotta d'indipendenza. 
I portoghesi arrivarono sulle coste dell'attuale Guinea Bissau fin dal 1400, ponendo le loro basi per la navigazione e successivamente per la tratta degli schiavi. Solo a partire dalla metà del 1800 si interessarono all'entroterra dove sopravvivevano i resti degli antichi regni africani.
Nel 1956 i fratelli Luis e Amilcar Cabral, assieme a Rafael Barbosa e Aristides Pereira, fondano il PAIGC (Partido Africano da Independencia da Guinè e Cabo Verde). Il partito nato clandestinamente si radicò velocemente nel territorio della Guinea, grazie al lavoro incessante di Amilcar Cabral che percorse in lungo e in largo il territorio, villaggio per villaggio, casa per casa, allargando il consenso popolare. Un lavoro che non solo aiutò le popolazioni rurali di agricoltori (Cabral da agronomo insegnava le tecniche di coltivazione, forniva conoscenze ai contadini), ma seminò il germe dell'emancipazione sociale e dell'indipendenza. Un lavoro apprezzato dai rivoluzionari del mondo intero (e riconosciuto anche dai suoi avversari) che continueranno, fino all'indipendenza, a sostenere la causa del PAIGC.


La prima azione del PAIGC ebbe luogo il 3 agosto 1959, quando fu organizzato un massiccio sciopero dei portuali di Bissau. La repressione dei soldati portoghesi fu massiva, oltre 50 lavoratori morirono in quello che è conosciuto come il massacro di Pijiguti. Oramai il PAIGC era pronto a fare il salto verso la lotta d'indipendenza. Nel 1960 trasferì la sua sede nella vicina Conakry, da dove organizzò la ribellione (nel 1961 fu stabilito anche un legame con l'MPLA che lottava in Angola e con il FRELIMO del Mozambico) che ebbe inizio ufficialmente nel gennaio 1963 con l'attacco alla guarnigione portoghese di Tite, a sud di Bissau. Nonostante il massiccio schieramento di forze portoghesi (furono inviati oltre 35 mila soldati) il PAIGC prese il controllo graduale del paese. Già nel 1968 il PAIGC controllava la maggior parte del territorio dell'entroterra. In ogni villaggio liberato venne costituito un comitato in cui era alta la presenza delle donne. Alla fine del 1972 il paese fu totalmente nelle mani del PAIGC. Amilcar Cabral non raccoglierà il frutto del suo intenso lavoro, il 20 gennaio 1973 sarà ucciso a Conakry (vedi post linkato).

Pochi mesi dopo, il 24 settembre 1973 la Guinea Bissau dichiarò unilateralmente l'indipendenza perchè vittoriosa sul campo. A novembre la nuova Repubblica fu riconosciuta dalle Nazioni Unite. Bisognerà aspettare però il 25 aprile 1974 quando un gruppo di ufficiali, con l'immediato appoggio della popolazione, destituì il regime dittatoriale in Portogallo ( quello di Salazar e poi Caetano) in quella che è passata alla storia come la Revolucao des Cravos (la Rivoluzione dei Garofani) per le immagini dei fiori offerti ai militari  inseriti nelle canne dei fucili. Il nuovo stato Portoghese riconobbe il 10 settembre 1974 l'indipendenza della Guinea Bissau (prima tra le ex-colonie portoghesi africane) dando inizio alla fine del secolare impero coloniale portoghese.

La morte di Cabral aveva sicuramente lasciato il PAIGC privo del leader carismatico e con grandi contrasti interni. Alla presidenza della Guinea Bissau fu posto il fratello Luis Cabral, l'unione con Capo Verde fallì e il 14 novembre 1980 Cabral fu destituito da un colpo di stato che portò al potere Bernando Vieria. Cabral arrestato per oltre un anno fu esiliato a Cuba e dal 1984 in Portogallo dove morì nel 2009. Vieria governò fino al 1999 quando fu destituito da una guerra civile scoppiata nel 1998. Ritornò al potere nel 2005 per essere assassinato il 2 marzo 2009.

La Guinea Bissau è tra i venti paesi più poveri del mondo, la sua economia è basata quasi esclusivamente sull'agricoltura e sulla pesca. Non ci è dato di sapere quale sarebbe stata la sua sorte se Cabral non fosse stato assassinato.

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venerdì 23 settembre 2011

Libri: Africana

Africana. Racconti dall'Africa che scrive in portoghese, è una raccolta di diciannove racconti scritti da altrettanti scrittori africani accomunati dalla caratteristica di scrivere in portoghese. Il libro, pubblicato nel maggio 1999 da Feltrinelli nella collana "I Canguri" è curato da Vincenzo Barca e Roberto Francavilla.
Quella dell'Africa lusofona africana è una comunità, che seppur con storie diverse, è legata da fatti ed eventi che si intersecano in modo intenso . Tutti i paesi ottengono, ultimi tra i paesi africani, la loro indipendenza nel breve arco di tempo che va dal 1974 al 1975. L'Angola, il Mozambico e la Guinea Bissau a seguito di una decennale guerra di liberazione che nel caso dei primi due si protrarrà per oltre due decenni. Le altre due realtà Capo Verde e Sao Tomè e Principe, sono invece legate dal quel comune "essere isole" che ne ha condizionato la vita e lo sviluppo culturale e politico. Per scelta dei curatori, motivata dall'assenza di figure letterarie nel campo della narrativa, la Guinea Bissau non è presente in questa antologia.
E' chiaro che la nuove generazioni di intellettuali e narratori dell'Africa Portoghese può essere datata a partire dagli anni '30 (sebbene il primo libro stampato in Africa lusofona è del 1849 in Angola) e continua con una generazione di letterati che si sono formati in Europa, del resto molti degli autori sono africani bianchi. Così come molti di loro si sono formati durante, e attraverso, la guerra di liberazione e la successiva guerra civile.

Nell'antologia sono presenti i mozambicani Mia Couto (1955), Josè Craveirinha (1922-2003), Luis Bernando Honwan (1942) e Suleiman Cassamo (1962); i capoverdiani Baltasar Lopes (1907-1989) e Manuel Lopes (1907-2005), Gabriel Mariano (1928-2002) e Germano Almeida (1945) ; il santomese Alves Preto (1931) e gli angolani Manuel Rui (1941), Arlindo Barbeitos (1940), il primo persidentente angolano Agostinho Neto (1922-1979), Boaventura Cardoso (1944), Ruy Duarte de Carvalho (1941-2010),  Josè Eduardo Agualusa (1961), Pepetela (1941), Arnaldo Santos (1936), Josè Luandino Vieira (1935) e Uanhenga Xitu (1924).

L'intento dei curatori era quello di mescolare modernità e tradizione, autori affermati (Vieira, Pepetele e Couto in particolare) con personaggi della lotta all'indipendenza (Neto in primis) e nuove voci. Il risultato è un libro piacevole, ricco di spunti e a tratti divertente. Un tributo alla lingua portoghese che ancora una volta riafferma la complessità e la varietà del continente africano.


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giovedì 22 settembre 2011

22 settembre 1960, il Mali è indipendente

Il territorio oggi conosciuto come Mali era noto come Sudan  francese e raggiunse l'indipendenza dalla Francia il 20 giugno 1960 come Federazione del Mali (ne faceva parte anche l'odierno Senegal). In realtà l'idea della Federazione, che nella testa dei fautori, voleva ricalcare gli antichi confini dell'Impero del Mali, era nata il 4 aprile 1959 e comprendeva anche l'odierno Benin (allora Dahomey) e l'odierno Burkina Faso (allora Alto Volta). La Federazione fu un fallimento e il 22 settembre 1960, a soli tre mesi dall'indipendenza della Federazione il Mali si dichiarò repubblica autonoma.



Il 1960 fu l'anno in cui ben 17 stati africani divennero indipendenti (vedi post in occasione del 50° anniversario), nel pieno di quella spinta anticoloniale iniziata con forza nell'immediato dopoguerra. Assieme al desiderio di "affrancarsi dagli stranieri" si era sviluppato anche un ampio movimento culturale e politico che affermava la necessità di costruire un'identità comune tra i popoli africani. Questa idea di "panafricanismo" traeva le sue origini agli inizi del 1900 e aveva come principali esponenti, almeno fino al dopoguerra, i discendenti degli schiavi nelle Americhe. Questa idea sul campo fallì, almeno nella sua forma più radicale che enunciava "gli Stati Uniti d'Africa"

Infatti la Federazione del Mali, nata appunto con queste intenzioni, finì con naufragare in virtù dei contrasti tra il leader maliano Modibo Keita e il leader senegalese Leopold Senghor. Modibo Keita, insegnante maliano laureato a Dakar, aveva aderito fin dagli anni quaranta ai movimenti anticoloniali di ispirazione comunista (fu arresto per questo nel 1946). Negli anni '50 fu sindaco di Bamako e successivamente membro dell'Assemblea Parlamentare francese (in cui fu anche Segretario di Stato), dopo l'indipendenza proclamata nel giugno 1960, il 20 luglio fu eletto Presidente dell'Assemblea Costituente della Federazione del Mali e immeditamente gli scontri con il più moderato Senghor portarono ad una frattura così insanabile che non solo il Mali dichiarò (vedi filmato) il 22 settembre l'indipendenza come Repubblica del Mali (il Senegal l'aveva già fatto il 20 agosto), ma furono tali anche chiuse le frontiere e interrotti i collegamenti ferroviari.
Keita avviò un processo di nazionalizzazione delle aziende (degli scarsi prodotti agricoli del paese) e fece chiudere le basi francesi nel suo territorio. Fu tra i maggiori fautori della nascita dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) che avvenne il 25 maggio 1963 ad Addis Abeba, scontrandosi ancora una volta con Senghor sulle modalità di legame tra i 32 paesi africani che aderirono alla nascita dell'organizzazione (federale per Keita, associativa per Senghor).
In Mali Keita accentuò, con il suo nazionalismo esasperato, l'isolamento del paese, facendo crescere il malcontento della popolazione e in particolare degli agricoltori. Il 19 novembre 1968 un colpo di stato guidato dai militari lo destituì. Keita fu incarcerato a Kidal, dove morirà il 16 maggio 1977. A guidare il paese fu designato il generale Moussa Traorè che governerà con il pugno di ferro fino al 1991 quando fu destituito da un'altro colpo di stato. La memoria di Keita è stata riabilitata solo negli ultimi decenni, come padre dell'indipendenza.

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mercoledì 21 settembre 2011

Giornata Internazionale della Pace

Giunta oggi alla 30° edizione, la Giornata Internazionale della Pace è stata voluta dalla Nazioni Unite "per trasmettere il messaggio di Pace tra le Nazioni e tra i popoli".
La giornata fu inserita nel 1981 con la risoluzione 36/67 dell'Assemblea Generale della Nazioni Unite, fu celebrata la prima volta nel settembre 1982 e dal 2001, con la risoluzione 55/282 dell'Assemblea Generale, è stata definita come giornata della non violenza e del cessate il fuoco (chiediamolo ovunque!).
Certo stando al sito Guerrenelmondo, tra i pochi a monitorare quotidianamente anche il più piccolo scontro armato, la situazione nel mondo è tutt'altro che rosea. In Africa, ad esempio, vi sono 20 stati coinvolti (e 54 gruppi guerriglieri o separatisti), con alcune situazioni di guerra franca, come è il caso della Libia, della Repubblica Democratica del Congo, della Somalia e del Sudan.
Altre zone di guerra vera sono l'Afghanistan e l'Iraq, mentre in Siria e Yemen la situazione peggiora di giorno in giorno.
Complessivamente Guerrenelmondo identifica, seppur con livelli molto differenti, oltre 54 stati nel mondo dove sono in corso scontri (talora molto episodici) con oltre 205 gruppi armati, milizie o guerriglie.
La giornata quest'anno è dedicata alla Pace e alla Democrazia, che osservando le notizie che giungono dal mondo, appaiono lontane ed utopiche. 
Gli sforzi nel mondo ovunque, da parte di associazioni, ONG, organizzazioni e cittadini, sono intensi sebbene talora poco conosciuti e apparentemente poco incisivi. 


Questa giornata è un modo anche per lanciare un monito all'intera umanità, perchè nonostante tutto, nel mondo vi saranno sempre donne e uomini disposti a lottare, con tutte le loro forze, per la pace e per la democrazia.
Usiamo questa giornata per dar spazio a queste voci.


Ecco il link al sito delle Nazioni Unite sulla Giornata Internazionale della Pace

martedì 20 settembre 2011

Peacekeeping in Africa e non solo

Nello statuto delle Nazioni Unite, approvato il 26 giugno del 1945, si sottolinea come uno dei compiti principali dell'organizzazione sia quello di "mantenere la pace e la sicurezza". Lo strumento per cui si attua questo compito è fin dal 1948 quello delle missioni internazionali di pace (peacekeeping). Queste missioni, sebbene non specificamente previste nello statuto, sono diventate una prassi con cui gli stati membri intervengono nel tentativo di mantenere la pace a seguito di conflitti (raramente a scopo di prevenzione). Tutte le missioni di pace devono essere decise con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, quindi per capirci, soggette a veto dei cinque paesi che ne hanno diritto (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito).
Ad oggi sono 16 le missioni di pace in corso nel mondo, di cui 7 in Africa, 3 in Asia/Pacifico, 3 in Medio Oriente, 2 in Europa e 1 in America.

La prima missione di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, fu quella che nel maggio 1948 portò l'ONU a posizionare i suoi uomini in Palestina a seguito della nascita dello stato di Israele. La missione, denominata UNTSO (United Nations Truce Supervision Organization) è tutt'ora in corso.

Da quel maggio 1948 ad oggi sono state 68 le missioni di pace, di cui 29 in Africa.
In Africa la prima missione di peacekeeping fu decisa  nel luglio 1960 a seguito della crisi nel Congo Belga (tentativo di seccessione del Katanga) e durò fino al giugno del 1964. La missione, denominata ONUC (Operazione delle Nazioni Unite in Congo), con 250 morti tra i caschi blu è stata anche quella che in Africa ha pagato il maggior tributo in termini di vite umane. In assoluto l'UNIFIL, in Libano dal marzo 1978, con 290 morti è quella che ha avuto il numero maggiore di morti tra il personale.

Infatti ad oggi sono state 2850 le vittime (tra militari e forze di polizia civile) degli operatori delle missioni di pace. Di questi ben 1371 sono deceduti in terra d'Africa. Storicamente, nonostante oltre 130 paesi del mondo hanno contribuito ad inviare uomini nelle missioni di pace, sono i paesi in via di sviluppo ad inviare in maggior numero di personale. In questa speciale classifica figurano in testa Pakistan, Bangladesh, India, Nigeria, Egitto, Nepal, Giordania, Ruanda, Ghana e Uruguay.
Alcune missioni occupano solo poche decine di uomini altre sono giunte ad occupare contemporaneamente decine di migliaia di persone come nel caso della UNPROFOR nella ex-Jugoslavia (1992-1995) che arrivò ad avere oltre 38 mila operativi o come nel caso della UNOSOM II in Somalia (1993-1995) che giunse ad avere 28 mila caschi blu.
Nel marzo 2010 erano oltre 100 mila gli uomini impegnati nelle missioni.

La seconda missione di pace da più tempo sul campo è la UNMOGIP (UN Military Observer Group in India e Pakistan) che dal gennaio 1949 controlla il confine Indo-Pakistano a seguito della divisione tra i due stati.
La terza missione in corso più datata è la UNFICYP (UN Peacekeeping Force in Cyprus) che dal marzo 1964 svolge funzione di interposizione tra la Cipro Turca e la Cipro Greca. Ad essa seguono le missioni sulle alture del Golan, dal 1974 e quella in Libano dal 1978.

In Africa la più vecchia missione in corso è quella nel Sahara Occidentale (MINURSO) che nell'aprile 1991 fu incaricata di monitorare il referendum di autodeterminazione del popolo saharawi e che ancora oggi non è stato espletato.

Oggi in Africa, oltre a quella in Sahara Occidentale, vi sono missioni di pace anche in Liberia (dal 2003), in Costa d'Avorio (dal 2004), due in Sudan (in Darfur dal 2007 e ad Abyei dal 2011), in Repubblica Democratica del Congo (dal 2010) e in Sud Sudan (dal 2011).

Tutti gli stati membri sono chiamati a partecipare alla spese (sebbene qualcuno sia molto in ritardo nei pagamenti). I costi delle missioni arrivano a superare, a seconda degli anni, anche i 7 miliardi di dollari. Per fare un esempio la missione più costosa e' quella nel Darfur con 1,7 miliardi di dollari annui, seguita da quella nella Repubblica Democratica del Congo con 1,4 miliardi, da quella ad Haiti 753 milioni, quella nel Libano 545 milioni e quella in Liberia 540 milioni.
Dal 1948 ad oggi le missioni di pace sono costate complessivamente 69 miliardi di dollari.

Purtroppo, nonostante questo grande sforzo in termini economici, in termini di schieramento di forze e di vite umane, la comunità internazionale non è riuscita a prevenire alcune criticità  delle missioni (soprattutto nella sfera degli abusi sessuali e del favoreggiamento della prostituzione ad opera del personale) ne quantomeno a prevenire conflitti e genocidi (prima tra tutti quello del 1994 in Ruanda). La riflessione sulla necessità di riformare le missioni di peacekeeping è da tempo in corso.

Per chi vuole approfondire ecco il link alla pagina delle Nazioni Unite sulle missioni e dove è possibile leggere il Report del 2010 sulle Missioni.

lunedì 19 settembre 2011

Sosso-Bala, il sacro balafon


Il Balafon è uno strumento musicale, tipico dell'Africa Occidentale, ed assomiglia ad uno xilofono. E' costituito da una struttura di legno (talora anche di bambu) in cui vengono posizionate un numero variabile di zucche (calebasse) svuotate che fungono da casse di risonanza. A volte le zucche vengono forate e rivestite con sottili membrane (un tempo le membrane erano costituite dalla tela di una particolare specie di ragno, oggi soprattutto da cartine di sigarette). Sopra le zucche si trovano i tasti (in genere tra i 17 e i 21), fatti di legno, in ordine decrescente di grandezza. I tasti sono percossi da due bacchette. Il balafon è uno strumento utilizzato da molte etnie dell'Africa Occidentale tra cui i Susu, i Malinke e i Mandinka. Assume nomi diversi come bala, balaphone, balani, Gyil e Balangi a seconda dei luoghi. E' usato oltre che in Guinea, in Mali, Senegal, Gambia, Cameroun, Ciad e nei paesi del bacino del Congo. Il balafon, assieme alla kora e allo ngoni, costituisce la base strumentale della tradizione dei griot (i cantastorie) dell'Africa Occidentale.
Vi sono testimonianze storiche che attestano dell'esistenza del balafon sin dal medioevo e in particolare a partire dal XII secolo (ad esempio l'uso del balafon è riportato nei racconti del viaggiatore arabo Ibn Battuta del XIV secolo).
E' appunto in questo contesto storico che si pone il sacro balafon Sosso Bala, ritenuto il balafon originale, lo strumento da cui derivano tutti i balafon oggi esistenti. Costruito oltre 800 anni fa ed oggi custodito nella città di Niagassola in Guinea. Questo strumento è dal 2001 (iscritto nella lista  nel 2008) Patrimonio Immateriale dell'Umanità dell'UNESCO (il video postato è quello dell'UNESCO).
Secondo la tradizione, raccontata nel poema epico Sundiata (che racconta le gesta del re Sundiata Keita, fondatore dell'Impero del Mali) lo strumento fu posseduto e suonato dal re Sosso (Susu) Sumanguru (o Sumaoro) Kantè che salì al trono nel XIII secolo. Il sacro balafon aveva dei poteri sopranaturali, divenendo nelle mani del re una sorta di oracolo, capace di aiutare a mantenere e controllare il potere. Di fatto rappresentava un simbolo della coesione e della libertà della comunità mandinka (i Susu sono un sottogruppo mandinko). Il declino dell'Impero Sosso coincise con la crescita dell'Impero del Mali.
E' uno strumento di un metro e mezzo, composto da 20 tasti.





Ancora oggi lo strumento viene suonato in particolari occasioni dai maestri di balafon che rivestono un grande ruolo nella comunità di Niagassola. Le azioni che l'UNESCO ha intrapreso per la salvaguardia di quello che viene definito "lo spazio culturale del sacro balafon" sono tutte rivolte allo studio e alla documentazione sulla tradizione e alla trasmissione verso le giovani generazioni della tradizione stessa. L'insegnamento della musica e in particolare della tecnica del balafon, nonchè le tecniche artigianali di costruzione degli strumenti, rappresentano i punti maggior interesse dell'opera di salvaguardia voluta dall'UNESCO.

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giovedì 15 settembre 2011

Musica: Sathima Bea Benjamin, una voce jazz dal Sudafrica

Sathima "Beattie" Beatrice Benjamin è una stupenda voce jazz sudafricana. Nata a Johannesburg in Sudafrica il 17 ottobre 1936 cresce a Cape Town dove inizia, a metà degli anni '50, suonando nei locali, la sua carriera di cantante, ispirata dalle grandi voci femminili americane del jazz come Ella Fitzgerald e Billie Holliday.
Suo padre proveniva da una famiglia dell'isola di S. Elena, mentre la madre aveva radici nelle Maurizio e nelle Filippine. Poco dopo la sua nascita i genitori si separano e dopo aver vissuto per qualche anno assieme alla sorella Joan con il padre e la nuova compagna, le due sorelle si trasferiscono dalla nonna paterna a Cape Town. Dopo aver lavorato come maestra elementare, nel 1957 è con Arthur Klugman con cui percorre il Sudafrica e il Mozambico con uno show itinerante chiamato Coloured Jazz e Variety. Nel 1959 incontra il sassofonista Kippie Moeketsi e successivamente il pianista Dollar Brand (Abdullah Ibrahim) con cui oltre a formare un sodalizio musicale, si legherà in matrimonio nel febbraio 1965. Con il Dollar Brand Trio (Joe Colussi al basso e Donald Staegemann alla batteria) incide nel 1959 quello che è ritenuto il primo album jazz del Sudafrica: My Songs For You.
Il 21 marzo 1960 avviene il massacro di Sherpeville e Lange, con 70 morti e 196 feriti tra i dimostranti, la situazione nel paese, di grave limitazione delle libertà, inducono Beattie e Dollar Brand a lasciare il Sudafrica.



Si trasferiscono in Svizzera, dove incontrano e collaborano con molti dei musicisti jazz che frequentano l'Europa in quell'epoca. Da Dexter Gordon a John Coltrane. Ma, l'incontro che darà la svolta alla carriera di Sathima, è quello con Duke Ellington che avviene nel settembre del 1963. Duke amava la voce di Sathima tanto da incidere a Parigi subito con lei e la band di Dollar Brand e da seguire, sempre con attenzione la carriera della cantante. Tanto da chiederne, nel 1965 il suo ingresso permenante della sua band (Sathima rifiuterà per non stare lontano dal suo compagno).
I coniugi Brand si stabiliranno negli Stati Uniti e nel 1976 faranno ritorno in Sudafrica, dove nascerà la loro figlia Tsidi (conosciuta con il suo nome da rapper Jean Grae). Ma , il 16 giugno 1976 un'altro massacro, quello di Soweto , li convinceranno a trasferirsi definitivamente, nel 1977, negli Stati Uniti e a legarsi politicamente all'African National Congress di Mandela. Ritorneranno a vivere in Sudafrica solo nel 1994 quando Nelson Mandela assumerà la presidenza.
Dal 1979, l'anno in cui apre la sua casa discografica, la Ekapa Rpm, con sede a New York al 2002 Sathima incide una decina di album, di grande qualità collaborando con musicisti americani quando incide negli USA e con musicisti sudafricani quando in Sudafrica. Nel 2004 il presidente Thabo Mbeki oltre a riconoscere a Sathima il "suo eccellente contributo alla musica jazz", ne riconosce anche il "contributo alla lotta contro l'apartheid".

Vi linko anche questo video con una intervista a Sathima, tratto dal film-documentario sulla sua vita "Sathima's Windsong", diretto da Daniel Yon.

Questo è il suo sito ufficiale, purtroppo non molto aggiornato.Del resto non è facile trovare materiare fotografico e video su di lei nella rete.

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mercoledì 14 settembre 2011

Popoli d'Africa: Bambara

I Bambara (chiamati anche Bamana) sono un gruppo etnico composto da oltre 2,5 milioni di individui che vivono soprattutto in Mali (dove costituiscono l'etnia principale della popolazione). Piccole comunità vivono anche in Guinea, Burkina Faso e Senegal.
Parlano  la lingua Bambara (a volte chiamata bamanankan) del gruppo delle lingue Mande. Oggi nel Mali è anche la più diffusa lingua interetnica parlata quasi da 7 milioni di africani. Ecco, per chi vuole approfondire, un link ad un dizionario bambara-italiano, scritto dalla maliana, che vive in Italia,  Mah Aissata Fofana.
Nonostante i tentativi dei missionari di convertire i Bambara al Cristianesimo, la componente animistica tradizione è ancora largamente prioritaria nel gruppo etnico, sebbene sono in corso processi di islamizzazione. I Bambara credono in un Dio creatore, chimato Ngala, colui che mantiene l'ordine nell'Universo e che coesiste con Faro che è invece responsabile "delle questioni umane" e della crescita dei frutti della terra.
I Bambara sono degli ottimi agricoltori (miglio, sorgo e arachidi in particolare). Secondo alcuni studi, si ritiene che siano stati i primi ad introdurre l'agricoltura nell'Africa subsahariana. Sono anche dei buoni allevatori di bestiame. Contrariamente a molte altre etnie i lavori agricoli e di pastorizia sono svolti da entrambi i sessi. La struttura sociale è basata su una discendenza patrilineare e su  di un sistema di caste, con nobili e "vassalli". Sono poligamici.
La loro origine (sebbene i primi insediamenti nell'area siano datati nel 1500 a.c.) si trova all'interno dell'Impero del Mali, il regno fondato dai mandinka che dominò l'Africa Occidentale dal 1235 al 1645. Nel suo massimo splendore l'Impero occupava un'area che dalla costa atlantica si estendeva fino ad oltre Timbuctu, lungo gran parte delle rive del fiume Niger.  
Alla caduta dell'Impero del mali, si formò a partire del XVII secolo un Regno Bambara (1660-1881) con capitale Segou che raggiunse il suo apice nella seconda metà del 1700 per poi dissolversi con l'arrivo dei francesi.
Secondo alcuni storici il nome bambara fu dato dai mercanti di schiavi mussulmani per indicare i "non credenti"-
I Bambara lavorano finemente il ferro, il legno, il cuoio, la ceramica e i tessuti. In particolare le maschere bambara, utilizzate in tutti i rituali, sono costruite con uno stile, denominato segou in cui i volti sono piatti, mentre il naso è particolarmente appuntito. Vi segnalo questo sito di arte africana con molte immagini di prodotti degli scultori bambara.


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lunedì 12 settembre 2011

12 settembre 1977, la morte di Steve Biko

Il 12 settembre 1977 è una data tragica per chi crede nella libertà, nella giustizia e nell'uguaglianza tra gli uomini. Quel giorno, sul pavimento di una cella vuota della prigione di Pretoria in Sudafrica si spense la giovane vita (pochi mesi dopo avrebbe compiuto 31 anni) di Stephen Bantu Biko, attivista nero anti-apartheid.
Biko era stato arrestato poco meno di un mese prima, il 18 agosto 1977. Rinchiuso in una cella per il colore della sua pelle, nera. Fin dai tempi della scuola, quella per soli neri, Bantu Stephen Biko,  nato nel dicembre 1946, iniziò la sua battaglia politica per i diritti nei neri in Sudafrica. Prima nei movimenti studenteschi e infine nella Black Consciousness (la Consapevolezza Nera), che ispirata dai movimenti della Negritudine in Africa (Frantz Fenon, Kwame Nhrumah, Amilcar Cabral) e negli Stati Uniti (Melcom X, i Black Power), voleva essere la "rinascita politica e culturale di un popolo oppresso". Un movimento totalmente libero dalla presenza dei bianchi. Per questa ragione, l'ANC (African National Congress) di Nelson Mandela non fu mai un riferimento, politico e culturale, per Biko. Che perfino quando l'ANC scelse la lotta armata, non osò definire il movimento di Nelson Mandela "troppo moderato".
Il 6 settembre 1977 Biko fu interrogato dai sui aguzzini, tra cui Gideon Niuwoudt, morto nel 2005, nella stanza 619. Le percosse furono tali che lo ridussero in fin di vita. I suoi carcerieri bianchi dissero che si agitava troppo e per una spiacevole fatalità sbattè la testa contro le sbarre della cella.
L'11 settembre, venne trovato nella sua celle in condizioni disperate, si decise di trasportarlo a Pretoria, dove il carcere era attrezzato con un'unità medica. La traduzione, per usare il gergo carcerario, avvenne su di una Land Rover, che di notte viaggiò per 1100 chilometri. Biko fu gettato come un animale, questo o poco più era il valore che i suoi carcerieri davano alla sua vita, nel cassone dell'auto, ammanettato e nudo. Morirà la sera dopo a Pretoria.Il governo sudafricano sostenne che era morto per un prolungato sciopero della fame.
Biko è stato un'uomo che ha creduto, fino all'estrema conseguenza, nelle sue idee, nell'uguaglianza tra bianchi e neri e ancor più nella necessità di una emencipazione, soprattutto culturale, della sua gente.

In molti luoghi del Sudafrica, in particolare tra i giovani e nelle periferie delle grandi città, ancora oggi il mito di Steve Biko è forte e spesso supera quello dello stesso Nelson Mandela.

Dalle nostre parti la figura di Biko è conosciuta spesso più per una canzone che nel 1980 Peter Gabriel scrisse per ricordarlo. Biko, di cui linko video e testo è un omaggio rispettoso e intenso che l'artista pop inglese (ex leader dei Genesis) ha voluto dedicare ad un uomo integro, che come putroppo molti altri africani, è stato stroncato dal potere dei bianchi. Uno canzone che poi molti altri artisti come ad esempio i Simple Minds, Joan Beaz e Manu Dibango hanno voluto riproporre.

La storia di Steven Biko è stata conosciuta grazie al lavoro di un giornalista bianco sudafricano, Donald Woods, che negli ultimi anni della vita del leader nero, aveva avuto modo di conoscere e stimare. Woods fu costretto all'esilio (ritornò il Sudafrica solo nel 1994). Nel 1987 sul rapporto tra Biko e Woods, e sulla lotta del giornalista per far conoscere la verità fu ricavato anche un film, Grido di Libertà.

Secondo molti storici l'omicidio di Biko fu uno nei maggiori eventi avvenuto in Sudafrica che decretò la caduta del sistema segregazionista, sebbene dovettero passare più di 13 anni.



September '77
Port Elizabeth weather fine
It was business as usual
In police room 619
Oh Biko, Biko, because Biko
Oh Biko, Biko, because Biko
Yihla Moja, Yihla Moja [*]
-The man is dead

When I try to sleep at night
I can only dream in red
The outside world is black and white
With only one colour dead
Oh Biko, Biko, because Biko
Oh Biko, Biko, because Biko
Yihla Moja, Yihla Moja
-The man is dead

You can blow out a candle
But you can't blow out a fire
Once the flames begin to catch
The wind will blow it higher
Oh Biko, Biko, because Biko
Yihla Moja, Yihla Moja
-The man is dead

And the eyes of the world are
watching now
watching now.

Ecco il sito della  Fondazione che porta il suo nome. La Fondazione ha anche una pagina Facebeoo.

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giovedì 8 settembre 2011

Cinema: Lumumba

Lumumba, è un film del 2000 diretto dal regista haitiano Raoul Peck ed la ricostruzione più veritiera dell'ascesa (gli ultimi mesi della sua vita) e dell'assassinio di Patrice Lumumba, principale interprete della lotta all'indipendenza del Congo Belga (poi Zaire e oggi Repubblica Democratica del Congo), divenuto Primo Ministro e poco dopo assassinato da militari belgi, dalla Cia e da ufficiali congolesi vicini a quello che succesivamente diventerà il signore e padrone del paese, Mobutu Sese Seko.
E' un film duro, a tratti forte e comunque triste. La storia di un uomo che ha fortemente creduto e lottato per la sua gente e per i suoi ideali e che è rimasto vittima di un complotto internazionale. Un uomo che come ha avuto modo di definirlo Ryszard Kapuscinski "non ha avuto il tempo di diventare una leggenda come Che Guevara, diventato un simbolo".

Raoul Peck, nato ad Haiti nel 1953, scappa nel 1961 dal suo paese, sotto la dittatura di Duvalier, assieme alla sua famiglia, per recarsi, nello stesso anno dell'assassinio di Lumumba, a Leopoldville nel Congo Belga, dove vivrà fino a 32 anni. Questo legame con il paese lo segna profondamente. Già nel 1991 girerà un documentario su Lumumba (Lumumba, la mort du prophete"), mentre il film Lumumba lo farà conoscere al mondo. Per breve tempo, negli anni '90, Peck è stato anche Ministro della Cultura ad Haiti durante la presidenza Aristide.



Il film è girato in Mozambico ed è interpretato dall'attore francese di origine camerunese Eriq Ebouaney, che oltre ad offrire una grande prova di attore ha anche una straordinaria somiglianza con il vero Lumumba.
Putroppo il film non è mai uscito ufficialmente nella sale italiane (nonostante sia giunto secondo al Festival del Cinema Africano di Milano nel 2001), un vero peccato, per un prodotto che oltre ad essere ben confezionato da un punto di vista cinematografico avrebbe anche consentito di comprende l'origine di molti dei mali che oggi affliggono la Repubblica Democratica del Congo, e che fanno del paese da tutti hanno definito uno "scandalo geologico" per l'immensità delle sue risorse minerarie, uno dei paesi più poveri ed insanguinati del pianeta.

Il 17 gennaio 1961 non solo si spegneva violentemente la giovane vita di Patrice, ma forse si soffocavano per un lungo tempo le speranze si emancipazione e di crescita di un'intero continente.

In film è visibile tutto su Youtube (in 9 pezzi) a partire dal primo.

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martedì 6 settembre 2011

Le anime nere dell'Africa: Foday Sankoh

Foday Saybana Sankoh, per i suoi uomini Popay o Papa è sicuramente stato un'anima nera dell'Africa. La sua crudeltà durante la sanguinosa guerra civile della Sierra Leone (1991-2002) ha superato ogni limite dell'umana immaginazione  lasciando sul campo tra i 50 mila e i 200 mila morti, 500 mila rifugiati e un numero enorme di amputati, di donne stuprate e di bambini soldati traumatizzati per la vita.

Nato nel 1937 in un remoto villaggio del nord della Sierra Leone, il padre, un contadino di etnia Tamne, la madre di etnia Loko. Dopo aver studiato nelle scuola primaria e secondaria di Magburaka ed aver svolto vari lavori, nel 1956 si arruola nell'esercito sierraleonese dove raggiungerà il grado di caporale. Addestrato in Nigeria e nel Regno Unito, è arrestato nel 1971 per aver preso parte ad un ammutinamento dell'esercito. Sconterà 7 anni di prigione a Freetown. Una volta rilasciato lavorerà come fotografo e cameramen nel sud-est della Sierra Leone, venendo a contatto con gruppi di giovani radicali che vogliono spodestare il potere. A partire dall'agosto 1987 è in Libia nei campi di addestramento di Gheddafi a Bengasi, che preparavano i rivoluzionari africani, dove conosce Charles Taylor con cui si lega con un patto di mutuo aiuto. I due metteramnno, a partire dal 1989, a fuoco e fiamme prima la Liberia (dal 1997 al 2003 Taylor sarà anche presidente della Liberia) e poi la Sierra Leone.
Negli anni in cui si addestrava in Libia , Sankoh fa nascere il Revolutionary United Front (RUF), assieme a Abu Kanu e Rashid Mansaray (attivisti sierraleonesi che avevano già combattuto con l'MPLA in Angola), che combatte a fianco del National Patriotic Front of Liberia (NPFL) di Charles Taylor in Liberia. Il 23 marzo 1991 il RUF, sempre con l'appoggio di Cherles Taylor,  lancia il primo attacco nella provincia diamantifera di Kailahun: segnerà l'inizio dell'insurrezione e della guerra civile in Sierra Leone. All'inizio il movimento, guidato da cinque persone tra cui Sankoh, Kanu e Mansaray e che aveva un background rivoluzionario, era visto positivamente da una parte dei sierraleonesi. Lo slogan " non più schiavi, non più padroni, potere e risorse al popolo" suonava positivamente ad un popolo di un paese ricco di diamanti e con governi corrotti che avevano sperperato gli ingenti profitti delle miniere. In poco tempo la strategia del RUF assunse però toni sempre più violenti. Il controllo dei diamanti servivano ad acquistare armi (lungo il tragitto Belgio/Francia - Monrovia) e potere. Nell'agosto del 1992 Sankoh fece giustiziare Kanu, e poi nel novembre 1992 anche Mansaray, che costituivano un ostacolo ai suoi deliranti e atroci metodi di gestione del potere. Oramai il RUF era diventato temuto per le sue pratiche di guerra: stupri di massa, amputazioni di arti e rapine. Inoltre poteva contare su di una  miriade di bambini soldato, rapiti e costretti ad ampurate gli arti ai propri familiari e nei propri villaggi.
Dopo una serie di colpi di stato, offensive e controffensive, l'arrivo di mercenari stranieri (pagati con fondi del Fondo Monetario Internazionale), nel marzo 1996 il RUF e il governo della Sierra Leone firmano un accordo di pace che non verrà mai rispettato. 
Nel marzo 1997 Sankoh viene posto agli arresti domiciliari in Nigeria (dove resterà fino al 1999), mentre il RUF, militarmente guidato da Sam Bockarie,  continua a mietere vittime nel paese ed a maggio del 1997 appoggia il golpe del AFRC (Armed Forces Revolutionary Council). Il golpe è ostaggiato fortmenente dalla popolazione civile. Nel marzo 1998 le truppe dell'ECOWAS (Comunità Economica del West Africa) guidate dalle truppe nigeriane scacciano l'AFRC dal potere.
Nel gennaio 1999 il RUF e l'AFRC lanciano un'operazione militare a Freetown. Secondo le organizzazioni umanitarie vengono uccise oltre 7000 persone, per lo più civili, oltre ad un numero imprecisato di stupri. Nulla ovviamente avviene senza la stretta appovazione di Sankoh.
Il 7 luglio 1999 fu firmato il contestato accordo di pace di Lomè, che oltre a permettere il rilascio di Sankoh, gli conferiva la vice-presidenza del paese e la presidenza di una commissione per il controllo dlele miniere di diamanti. Anche questo accordo, molto criticato dalla comunità internazionale, non resse e nel maggio 2000 gli inglesi, con il supporto delle delle Nazioni Unite, lanciarono l'operazione Palliser che sconfisse militarmente il RUF.
Il 17 maggio 2000 Foday Sankoh fu arrestato. Nel gennaio 2002 la guerra civile in Sierra Leone fu dichiarata conclusa, il paese era in ginocchio. Nel 2006 il RUF, trasformato in Revolutionary United Front Party, ottenne il 2,2% alle elezioni e il suo candidato presidente, Alimany Pallo Bangura l'1,7% dei consensi. Nel 2009 il partito è confluito nel All People's Congress. Il Tribunale Speciale per la Sierra Leone, incaricato di indagare sui crimini in Sierra Leone a partire dal novembre 1996 lo accusa di ben 17 capi d'imputazione  (leggi i capi d'accusa), tra cui,  crimini contro l'umanità,  avere terrorizzato la popolazione civile, uccisioni sommarie e sterminio, violenze  sessuali e psicologiche, utilizzo di bambini soldato, schiavitù e lavori forzati, attacco e rapimento del personale delle Nazioni Unite. In una dichiarazione dopo il suo arresto Sankoh si disse "sorpreso di essere indagato perchè io sono il leader del mondo".
Il 29 luglio 2003, durante la detenzione, Foday Sankoh muore per le complicanze di un infarto del miocardio. Il suo inquisitore della Corte Internazionale, David Crane, commentò la sua morte con un laconico "una fine pacifica che egli ha negato a molti altri" (leggi  l'articolo della BBC sulla sua morte).

La morte di Sankoh fu accolta con gioia e un senso di liberazione per le strade di Freetown. E' stato sicuramente tra gli uomini più crudeli che hanno calpestato la martoriata terra d'Africa. Qualcuno oggi continua a definirlo un rivoluzionario. Credo che nemmeno l'appellativo di "Hitler d'Africa" possa definire con esattezza questo brutale assassino.


Sulla guerra della Sierra Leone e sui diamanti insanguinati è stato scritto dal giornalista Greg Campell il libro Diamanti di sangue, mentre nel 2006 è uscito il film Blood Diamonds, che affronta lo stesso tema.

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venerdì 2 settembre 2011

Spazio culturale della piazza Jemaa el-Fna a Marrakesh

La piazza Jemaa el-Fna (a volte scritta anche Djemma el-Fna) è il luogo simbolo e il cuore pulsante della città di Marrakesh, in Marocco,  fin dalla sua nascita nel XI secolo. Un luogo dove avviene di tutto. Musicisti, acrobati, bancarelle, venditori, ammaestratori di serpenti, cantastorie, tatuatori e ogni altra attrazione immaginabile e possibile per locali, turisti e viaggiatori. Al calare del sole, la piazza si trasforma in un'enorme ristorante, una festa gastronomica collettiva che si protrae fino a notte fonda.Ovunque spuntano tavoli, sedie, fuochi, bancarelle e quant'altro è possibile per cucinare qualcosa. Uno spazio che per le sue caratteristiche di luogo d'incontro e di scambio culturale è stato inserito nel 2008 tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO (il video è tratto dal sito dell'UNESCO).
In realtà sin dal 1922 il Marocco ha istituito una sorta di "protezione" della piazza quale simbolo dell'intero paese.
Oggi, come qualcuno l'ha giustamente definita, la piazza è "un catino colorato, un calderone umano ogni giorno dell'anno, in presenza o in assenza di turisti"









Il progetto UNESCO sulla piazza è concentrato in particolare sulla trasmissione delle conoscenze dello spazio culturale verso le giovani generazioni e sulla conservazione delle tradizioni e delle documentazioni relative a tutto ciò che avviene nella piazza.


Da un punto di vista architettonico la piazza, che ha una forma triangolare, non è nulla di speciale, senza nessun edificio di rilievo (vie era una moschea che fu distrutta secoli fa) e con molto cemento. Ma a farla diventare un luogo straordinario è appunto la moltitudine umana.
Recentemente, il 28 aprile scorso, uno dei luoghi simboli della Piazza, il Cafè Argana, con la sua terrazza che offre una splendida vista, è stato oggetto di un attacco terroristico che ha causato la morte di 15 persone e il ferimento di numerose altre.


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