Pagine

sabato 27 febbraio 2016

Riserva Naturale Air-Tenerè

La Riserva Naturale dell'Air e del Tenerè è una riserva naturale del Niger istituita nel 1988. Oggi è una delle più grandi aree protette dell'Africa con oltre 7,7 milioni di ettari. Nel 1991, a causa del suo particolare ecosistema, per essere l'habitat naturale per la sopravvivenza di alcune specie di gazzelle e per la scarsissima presenza umana, è stata inserita tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO e dal 1997 è diventata una Riserva della Biosfera all'interno del programma Men and Biosphere (MAB) lanciato dall'UNESCO. La riserva che comprende una parte delle massiccio montagnoso vulcanico dell'Air (che giunge ad oltre 2000 metri dia altitudine) e una sezione del deserto del Tenerè, si compone di due parti: La riserva vera e propria di 64.560 chilometri quadrati e il Santuario Air e Tenerè dell'Adda (nato per proteggere la specie di gazzelle Addex o Antilopi del deserto - a rischio estinzione), di 12.800 chilometri quadrati. Dal 1992 il sito è stato inserito all'interno dei patrimoni dell'umanità a rischio a causa della instabilità politica (conflitti e tensioni legate all'insurrezione del popolo Tuareg) all'interno dell'area.
Nella riserva insiste la tipica vegetazione del deserto (dove piove molto poco) con alcune specie aggiuntive, tipiche della flora mediterranea e sudanese, che crescono sopra i 1000 metri di altitudine. Sono state classificate oltre 350 specie vegetali di quasi 200 generi diversi.
Sono invece oltre 40 le specie di mammiferi (oltre alle gazzelle vi sono felini e canini quali leopardi, iene, fennec e caracal e due specie di scimmie quali babbuini e eritrocebi) 170 quelle di uccelli (tra cui una quarantina di specie migranti) e una ventine quelle dei rettili (tra cui cobra e vipere).
La riserva è al centro di studi scientifici fin dalla metà del 1800, si sulle questioni naturalistiche (animali e vegetazioni), sia per quanto riguarda l'ambiente e infine il rapporto tra le popolazioni locali e un ecosistema fragile e per nulla facile.
Nell'area vi sono anche numero siti archeologici (nel medioevo l'area era parte del ricco Impero Songhai) e preistorici che segnano un'antica presenza degli uomini in queste terre oggi quasi inaccessibili.

Nella riserva della Biosfera (quasi 24 milioni di ettari) abitano anche circa 30.000 tuareg (di cui due-tre mila allevatori stanziali) occupati oltre che nell'agricoltura, nell'allevamento di cammelli e pecore. All'interno passa anche una delle più importati rotte trans-sahariane. Come previsto dal programma MAB dell'UNESCO il territorio della Riserva della Biosfera è suddiviso in tre aree: la Core area (oltre 1,2 milioni di ettari) che costituisce la riserva integrale inaccessibile all'uomo se non per la ricerca, una Buffer area (circa 6,5 milioni di ettari) dove vi sono insediamenti umani a bassissimo impatto e infine la Transitino area (16,2 milioni di ettari) dove sono previste attività economiche sostenibili.

La riserva è visitabile con fuoristrada (partendo da Agadez o da Arlit, la prima a circa 100 chilometri dalla riserva) mentre è possibile pernottare a Iferouane, da dove esiste anche la possibilità di effettuare delle escursione con i cammelli.

Vai alla pagina di Sancara sui Siti Patrimonio dell'Umanità in Africa
Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

martedì 23 febbraio 2016

Popoli d'Africa: Somali

I somali sono un grande gruppo etnico (oltre 20 milioni di persone) che occupa l'area del Corno d'Africa ed in particolare la Somalia (circa 12 milioni - dove costituiscono il 95% della popolazione),  l'Etiopia (4,5 milioni), il Kenya (2,5 milioni), Gibuti (500 mila) e lo Yemen. Inoltre è un popolo soggetto a forti migrazioni (a causa dell'oramai quasi trentennale guerra in atto) per cui comunità più o meno grandi (diaspora somala) si trovano in Europa come in America, oltre che in Sudafrica (40 mila). E' un gruppo caucasoide, ovvero con delle caratteristiche antropometriche simili agli europei.
Parlano la lingua somala (lingua afroasiatica che solo dal 1972 usa il sistema di scrittura latino), lingua ufficiale della Somalia che contiene contaminazioni arabe, inglesi e perfino italiane. Molti Somali parlano anche l'arabo. I Somali sono in gran maggioranza (vicino alla totalità) mussulmani sunniti. 
I Somali hanno sempre abitato quest'area (i primi ritrovamenti risalgono al 5000 a.c.) e fin dai tempi dei faraoni hanno avuto solidi legami - soprattutto di carattere commerciale - con gli egiziani. Con la loro conversione all'islam (facilitata dalla vicinanza con la penisola araba) presero vita numerosi sultanati, tra cui quello di Ajuuran (XIII-XVII secolo), che nel Medioevo fu in grado di respingere l'invasione dei Portoghesi.
Furono poi inglesi ed italiani ad essere i paesi coloni di queste terre. La Somalia ha avuto un periodo di indipendenza, dal 1960 al 1991, e dalla caduta di Siad Barre vive in una sorta di guerra civile permanente. La storia della Somalia, grazie all'omogenità della popolazione, può essere sovrapposta a quella del gruppo etnico somalo. Un fatto abbastanza raro in Africa, dove gli stati costituiscono spesso un insieme non omogeneo di culture e di popoli.
La base della struttura sociale, politica e sociale dei somali sono i clan patrilineari 
I più importanti sono i Darod, i Dir, i Hawiye, i Isaaq e i Rahanweyn, a loro volta suddivisi in sottoclans. La struttura dei clan ha un ruolo determinante nella difficoltà di giungere ad una soluzione pacifica e definitiva della gestione del potere all'interno della Somalia.
Secondo alcuni etnografi il maggior elemento di legame all'interno dei Somali (e della nazione Somalia di conseguenza) è stato l'osservanza del sistema legale denominato Xeer. Esso si basa su una serie di consuetudini e di leggi naturali che sono state in qualche modo codificate e che oggi costituiscono un sistema legale complesso ed articolato. Un sistema che, grazie al ruolo degli anziani, è nato intorno al VII secolo e si è tramandato fino ad oggi. Sebbene in alcune aree, come quelle dove maggiormente vi fu la dominazione italiana, esso fu proibito ed ostacolato a favore del sistema legale italiano.
La cultura somala affonda inoltre le sue radici dalla tradizione ed è stata influenzata, nel corso dei secoli, dalle civiltà vicine: da quelle nord-africane a quella araba, passando per quella indiana. Da questo connubio tra tradizione e influenze esterne è sorta una complessa amalgama che abbraccia ogni angolo del sapere umano.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

lunedì 15 febbraio 2016

Una storia infinita

foto da www.wfp.org
La storia si ripete. Come sempre con la sua drammaticità e con un prezzo, in termine di vite umane, sempre più alto. Come sempre è ancora emergenza. Nulla di nuovo, si direbbe.
In Etiopia si affronta l'ennesima siccità (sebbene l'area interessata si estende ai paesi vicini e in primo luogo a quelli più martoriati  dalle guerre come la Somalia e il Sud Sudan). Secondo gli esperti la più grave degli ultimi 65 anni.  Anche questo sembra un ritornello già sentito. Oltre 10 milioni di persone colpite (su di una popolazione totale di oltre 90 milioni di persone), che senza un intervento deciso, rischiano di non arrivare a fine anno. La produzione agricola (unica sussistenza per intere popolazioni) è scesa del 50% ed in alcune zone perfino del 90%.
Se non fosse che la stessa cosa è capitata negli anni '70, poi negli anni '80, poi nel 2000, poi nel 2008 e infine nel 2011 potrebbe sembrare perfino una vera ed imprevedibile emergenza.
Di emergenza - purtroppo non c'è nulla - se non il rischio della vita di milioni di poveri disperati che non interessano a nessuno.
Qualche giorno fa, rileggendo quanto scritto nel 2011, ho pensato che avrei potuto ripubblicare lo stesso post, cambiando la data, senza rischiare di essere fuori tema o di non centrare l'attualità. La cosa, non mi ha reso felice.
Da decenni continuiamo ciclicamente ad assistere alle stesse scene. A pubblicare le stesse foto di donne e bambini ridotti all'osso e a chiedere uno sforzo straordinario - in termini di carità - a tutti per l'ennesima emergenza e per scongiurare solo l'ultima delle tragedie.
Nel mezzo, tra una emergenza e un'altra, poco o nulla. Nessun intervento sui governi (che hanno grandi responsabilità), nessun intervento sulle multinazionali che sfruttano il suolo, nessun intervento sulle deviazioni dei corsi d'acqua, nessun intervento sulle infrastrutture, nessun intervento sulle speculazioni finanziarie in merito alle derrate alimentari, nessun intervento sulle guerre che generano movimenti incontrollati delle popolazioni. Niente o quasi.
Di contro la costante è sempre la colpa di una natura (indagato numero uno è El Nino che ha ridotto quasi a zero le piogge) che si incattivisce sempre sugli ultimi.
Che il cambiamento climatico abbia un impatto devastante sulle deboli economie rurali di alcuni luoghi del pianeta, è fuori dubbio. Quello che è inaccettabile è l'assenza di politiche e finanziamenti certi allo sviluppo.  In particolare appare insensata la non politica sul sistema di tassazione delle imprese multinazionali. Dallo sfruttamento intensivo della terra - ad opere delle grandi industri agro-alimentari - deriva l'altra faccia del problema che porta allo stremo le popolazioni rurali. Oggi le organizzazioni internazionali sostengono che servono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla situazione dell'Etiopia, una cifra per ora raggiunta solo per un terzo.
Come avviene sempre in queste drammatiche circostanze, sono le categorie più deboli a pagare il prezzo più alto. In primo luogo i bambini, che secondo Save the Children sono più della metà dei colpiti dalla carestia. I bambini pagano un enorme contributo in termine di vite umane e di malattie (sono oltre mezzo milione i bambini già colpiti da grave malnutrizione).
Bisogna anche sottolineare come l'aggravarsi della situazione idrica nelle aree rurali costringe interri popoli a migrare verso le città o verso i campi profughi. Alla periferia di Addis Abeba o nei mostruosi campi profughi Oggi  la vita è, se possibile, anche peggio.
foto da Internazionale
La sensazione (e molto più) è che di queste persone non importa sostanzialmente a nessuno. Spesso sono gruppi etnici che hanno vissuto per secoli in un rapporto, quasi simbiotico, con una natura che non è mai stata generosa e con la quale hanno saputo convivere e rispettare. Oggi gli interventi esterni hanno modificato i rapporti e stanno rendendo quelle aree del pianeta invivibili. 
Inutile dire che in quei luoghi stanno sparendo culture tradizionali che erano sopravvissute a secoli e alla modernizzazione ed erano arrivate a noi ancora integre nella loro complessità.

Si possono seguire gli sviluppi di questo ennesimo dramma dai siti della FAO e del World Food Programme, che assieme a molte ONG, grandi e piccole, sono in prima linea nell'affrontare una situazione sempre più complicata.

venerdì 12 febbraio 2016

Stop all'uso di bambini soldati

Oggi è la Giornata Internazionale contro l'uso dei bambini soldato, una dei tanti momenti di riflessione, e di azione, che le Nazioni Unite hanno voluto dedicare a questo tema. Il 12 febbraio 2002 infatti entrò in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU sul diritto dell'infanzia e dell'adolescenza che tutela (o dovrebbe farlo) i minori di 18 anni dalle azioni di guerra.
Inutile dire che - se per noi il tema appare lontano e impensabile - in molti luoghi del pianeta bambini vengono usati ai fini bellici. Una consuetudine che ci fa pensare soprattutto all'Africa ma, che è invece usata in ogni angolo del pianeta dove di combatte. Sono, secondo le Nazioni Unite, ufficialmente 8 i governi che impiegano minori negli eserciti (cinque in Africa) mentre 51 sono i gruppi armati, in 23 paesi del mondo (molti fuori dell'Africa), che fanno largo uso di minori armati. Un totale di almeno 250 mila bambini (e bambine) che non giocano ma, sparano.
Un modo orrendo non solo per privare dell'infanzia molti bambini ma, di devastare intere comunità e società. Ai bambini infatti, quasi sempre costretti a combattere con la violenza, sono affidati i compiti più orrendi (grazie alle tutele di legge), mentre le bambine sono ridotte spesso a schiave sessuali. L'effetto non solo sui sopravvissuti, ma sull'intero sistema sociale si estende per generazioni.


Sancara ha pubblicato in questi anni alcuni post sul tema, magari parlando di libri o di film. Ho pensato di raccoglierli in un unico file in modo da rendere più agevole la lettura. Fatelo se avete voglia.
Ecco il link per scaricare il file PDF con tutti i post relativi alla questione dei bambini soldato

mercoledì 10 febbraio 2016

Appello dell'OIM

L'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), organismo intergovernativo nato nel 1951, con sede principale a Ginevra e con lo status di osservatore all'interno del sistema delle Nazioni Unite, da tempo è preoccupata per l'aumento delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Un fenomeno che sta interessando fortemente il nostro paese e che si mescola con quello delle migrazioni via mare dei soggetti richiedenti asilo. E' un fatto che naturalmente riguarda in stregante maggioranza giovani ragazze nigeriane, spesso minorenni, (sul tema della prostituzione nigeriana in Italia si veda questo post di Sancara) che sempre più si riversano nelle nostre strade.
Gli operatori del settore vedono negli ultimi mesi un grande afflusso di giovani donne nelle strade classiche della prostituzione nelle città italiane.
L'intenzione dell'OIM è quella di attirare l'attenzione di media ed istituzioni su un fenomeno, quello della tratta di giovani donne africane, che appariva in declino (grazie alla grande azione di contrasto delle autorità italiane) e che invece ha trovato, purtroppo, nuova linfa con l'enorme flusso migratorio degli ultimi anni. L'OIM ha stilato, in collaborazione con associazioni e organizzazioni che si occupano del fenomeno della Tratta, una proposta con 11 punti che necessitano di attenzione e di urgente attuazione.

Sono raccomandazioni che attengono a tutte le sfere del complesso fenomeno. Dalla sensibilizzazione dei clienti, agli aspetti legislativi, dalla tutela della vittima agli strumenti per gli operatori sociali e per le forze dell'ordine, dalle azioni nei paesi d'origine ai rimpatri forzati.

Eccoli nella loro forma originale.

  1. È urgente che istituzioni e società civile lavorino insieme per contribuire a produrre un cambiamento nell’approccio culturale alla gestione del fenomeno della tratta di esseri umani. È necessario sperimentare interventi che includano gli “utilizzatori finali” di tale commercio, prevedendo delle campagne di sensibilizzazione ad hoc (soprattutto verso le nuove generazioni) che illustrino con chiarezza “cosa” c’è dietro l’offerta di prestazioni sessuali e che analizzino la disparità fra i sessi e la concezione della donna ancora strumentale, spesso all’origine di rapporti squilibrati e violenti. 1
  2. È necessario innovare il sistema anti-tratta italiano attualmente troppo rigido e non aggiornato rispetto al cambiamento dei flussi migratori che interessano l’Italia. In particolare è importante notare come i finanziamenti previsti non siano sufficienti a soddisfare la richiesta di accoglienza e protezione dei migranti, in particolare se vulnerabili.
  3. È urgente adottare il piano nazionale sulla tratta per rendere operativa una protezione efficace delle vittime che comprenda assistenza legale, psicologica, sanitaria e socio lavorativa. È particolarmente importante che aumenti anche il numero delle comunità disposte ad accogliere i più vulnerabili, le migranti minorenni (in sensibile aumento), donne in stato di gravidanza o con minori a carico, donne con problemi di salute e uomini sfruttati.
  4. È necessario aumentare la durata del permesso di soggiorno per protezione sociale previsto ai sensi dell’art. 18 del testo Unico sull’Immigrazione per potere assicurare alle vittime il tempo necessario per l’inserimento nel tessuto di residenza e – in generale - una assistenza e integrazione più efficace.
  5. È fondamentale prevedere un rafforzamento della capacità di accoglienza delle vittime di tratta che vengono individuate come tali già al momento dello sbarco per assicurare loro un’immediata protezione (attraverso case di fuga dedicate) e allontanarle dai loro sfruttatori, che viaggiano spesso a bordo degli stessi barconi. È anche per questo particolarmente urgente recepire con legge e rendere effettiva la possibilità che alle vittime venga concesso un periodo di riflessione così che possano maturare la decisione di denunciare o chiedere una protezione specifica alle associazioni e organizzazioni competenti, come prevede la normativa europeapage1image20048
  1. È particolarmente urgente uniformare l’applicazione del percorso sociale a quello giudiziario. La legislazione italiana è senz’altro una delle più avanzate in Europa in termini di tutela delle vittime di tratta. Tuttavia, sul territorio le prassi sono contrastanti e soggette alla discrezionalità delle istituzioni. Si deve rendere effettiva l’applicazione di una norma già esistente, pensata per offrire protezione a tutte le vittime a prescindere dalla denuncia dei responsabili del crimine.
  2. Si raccomanda di creare dei canali efficaci di rinvio tra i diversi sistemi di assistenza previsti dalla normativa nazionale per i migranti. Le categorie giuridiche hanno confini opachi, una vittima di tratta può essere anche una richiedente asilo e un minore non accompagnato. Questa maggiore comunicazione può essere promossa attraverso la redazione di protocolli operativi tra i diversi attori istituzionali e la società civile.
8. È fondamentale prevedere un sistema di aggiornamento formativo costante in favore delle forze dell’ordine, delle autorità di frontiera, degli operatori impegnati nella gestione dello sbarco e nella prima e seconda accoglienza e degli operatori sanitari per potere comprendere appieno il fenomeno, contribuire ad una identificazione precoce e proteggere le vittime di tratta con tempestività ed efficacia.
  1. È essenziale prestare particolare attenzione alle minori potenziali vittime di tratta, persone, se possibile, ancora più vulnerabili, partendo dalla loro minore età e in un’ottica di definizione del loro migliore interesse. Tali interventi potrebbero includere anche la sperimentazione di nuove forme di accoglienza, ad esempio attraverso delle famiglie affidatarie adeguatamente formate.
  2. È urgente prevedere degli interventi mirati nei principali paesi di origine delle vittime di tratta. Tali azioni dovrebbero includere attività di sviluppo, educazione e assistenza alle donne più vulnerabili e a rischio tratta, compresa la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e informazione continue sui rischi dell’immigrazione irregolare, dei viaggi e della tratta in generale e sulle reali condizioni di vita e possibile sfruttamento in Europa.
  3. Nel caso di rimpatri forzati è sempre necessario prestare particolare attenzione alla vulnerabilità della singola situazione e non procedere laddove vi sia il rischio che le donne o gli uomini siano soggetti a forme di ri-vitttimizzazione o ri-tratta, o qualora esse o i loro familiari possano essere soggetti a minacce, ritorsioni e violenze. 

    Sono naturalmente raccomandazioni che si rivolgono alle Istituzioni, Enti Locali in primo luogo, che spesso proprio in virtù delle ristrettezze di bilancio, stanno disinvestendo su temi su cui lo stesso OIM riconosce all'Italia un'avanzata legislatura e prassi operative consolidate nel tempo.
    Sono però questioni che non possiamo delegare solo agli addetti ai lavori ma, che devono interessare tutti noi poiché la connessione con altre forme di criminalità sono alte e si intersecano con fenomeni che spesso poco hanno a che fare con la prostituzione. Così come sono italianissimi la quasi totalità dei clienti che usano (o come qualcuno ebbe modo di dire, utilizzano) queste donne.
    Loro, le ragazze, sono le vittime quasi sempre indifese di questo ignobile commercio.

    Ecco l'ultimo Rapporto dell'OIM sulle vittime di tratta nell'ambiente dei flussi migratori

    In Italia è attivo un Numero Verde Nazionale Anti-Tratta (800-290-290)

lunedì 8 febbraio 2016

Libri sull'Africa: I Migranti


"Una delle caratteristiche dell'uomo è dimenticare di essere mortale. Una delle caratteristiche della morte è ricordaglielo"

Un'altro elemento si aggiunge alla bella collezione dei libri, sempre ricercati e mai banali, proposti da Il Canneto Editore. Questa volta si tratta di un piccolo libro, I Migranti, un centinaio di pagine in tutto, scritto dal marocchino Youssouf Amine Elalamy nel 2000 e che, grazie alla casa editrice ligure, viene tradotto per la prima volta dal francese  (il titolo originale è Les clandestins) nel 2015.
E' un libro non facile e non per questo meno interessante. Titolo e copertina non lasciano dubbi sul tema, che resta ancorato all'atto del migrare, attraverso il mare, dall'Africa del nord verso l'Europa. Un viaggio di miseria e di speranza, tra il reale e l'immaginario. 
E' un omaggio, sincero e sentito, a quella marea umana che ha lasciato (e continua a farlo) le coste dell'Africa, per fuggire verso l'ignoto ed ha trovato la morte. Numeri impressionanti, oltre 3500 persone solo nel 2015, sono quelle che hanno lasciato la loro vita nel Mediterraneo,  in quella che le Nazioni Unite definiscono "la strada più mortale del mondo". Donne, bambini, giovani e anziani, senza alcuna distinzione.
Il racconto di Elalamy, che si intreccia tra le poetiche di un racconto che talora scivola nella fiaba, la sceneggiatura di un film mai girato e quella di un'opera teatrale in continuo movimento, ci conduce tra un immaginario gruppo di 13 persone (in realtà 14 perché l'unica donna del gruppo porta nel suo grembo il figlio che mai nascerà) che vengono ritrovati, sulla spiaggia "tutti annegati" e con le facce immerse nella sabbia. 
Momo, Luafi, Jaffa, Abdu, Mulay Abslam, Anuar, Sliman, Sharaf, Salah, Abid, Ridwan, Zuheir e Shama, sono gli immaginari nomi (ma assolutamente sovrapponibili ai moltissimi reali) di "quei corpi trasformati in immagini, che non smetteranno di morire sotto i nostri occhi". Sono bianchi e neri, uniti solo dal fatto di avere "un sogno un po' troppo grande e una vita un po' troppo piccola e così difficile da sopportare".
E' la storia, postuma, di quell'ultimo viaggio. Il fatto di raccontare una storia immaginaria non rende meno drammatico l'accaduto. Lo rende anzi, più universale e paradossalmente più realistico. La realtà di chi si imbarca su di una "barca di legno a destinazione morte" ma, anche la realtà, di chi "ha lavorato tutta la vita per comprare la morte".
Il libro di Elalamy ci conduce in un viaggio in ogni angolo da cui il migrare può essere visto, senza pregiudizi, tra chi decide di partire, sfidando non solo il mare ma, anche l'incognita  per il futuro,  tra chi decide di restare e si troverà poi a piangere i morti ed infine perfino di chi da pescatore si è trasformato in scafista affermano oggi ".... ne avrei di storie da raccontare, con tutti quegli occhi aggrappati alla mia barca. Però non mi pagano per raccontare, solo per far attraversare. E dovrei sentirmi in colpa per questo!
Un libro da leggere per entrare nei tanti angoli delle moderne migrazioni via mare e soprattutto sul nostro modo, sempre più ipocrita, di affrontare il problema senza volerlo vedere nelle sua complessità.

Youssou Amine Elalamy è nato in Marocco nel 1961. Vive e lavora a Rabat. E' un insegnante presso l'Università di Kenitra e fondatore del gruppo culturale di scrittori "Moroccan Pen Club". Scrittore che si occupa anche di teatro e arti figurative, si è occupato molto della Primavere Arabe e del terrorismo di matrice estremista.

Sulle morti nel Mediterraneo vi segnalo questi due post di Sancara

- Ora Basta! La colpa è nostra ( 3 ottobre 2013)
- La merce umana (10 ottobre 2013)

Ecco il sito ufficiale di Il Canneto Editore

Vai alla pagina di Sancara sui Libri sull'Africa

domenica 7 febbraio 2016

Cinema: Beasts of no Nation

Vi sono ormai storie, che a dispetto della loro atrocità, sono entrate nell'immaginario collettivo come "classiche e normali". Un modo quasi per, accettandole come storie risapute, svuotarle della maggiore componente emotiva e renderle così meno dure e drammatiche. E' il caso dei percorsi di migrazione, inganno e sfruttamento delle molte donne nigeriane che affollano i nostri marciapiedi vendendo per pochi euro i loro corpi;  è il caso delle storie di povertà, miseria, fame e morte che scorrono in alcuni spot televisivi; è il caso più recente della morte di donne e  bambini durante le traversate in mare; è il caso della vita di molti bambini soldati chiamati a compiere atti di inaudita violenza in conflitti di cui non hanno mai potuto capire le ragioni.
Il film presentato alla mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre, Beasts of no Nation diretto dall'americano (sebbene di origini nippo-svedesi) Cary Joji Fukunaga, racconta proprio una di queste storie. Sembra appunto "la classica storia" di un bambino soldato. Appunto un orrore che diventa quasi normale: una paradosso della nostra sensibilità.
Basato sul romanzo di esordio autobiografico, scritto nel 2005, dello scrittore nigeriano diventato statunitense Uzodinma Ideala, la storia si svolge in un paese non chiaro dell'Africa Occidentale (il film è girato in Ghana) ed appunto quella di un bambino, Agu, che passa dalla vita relativamente tranquilla nel suo villaggio natale ad una spirale crescente di violenza e ingiustizie. Scappa dopo aver visto la fuga della madre, la morte del padre, un insegnante della locale scuola oramai distrutta, e infine dei fratelli.
Solo nella foresta viene intercettato da una compagnia di bambini ribelli, armati fino ai denti e stravolti da ogni tipo di sostanza, e guidati da un comandante, brutale e manipolatore, che è  anche l'unico adulto del gruppo. L'iniziazione di Agu avviene appunto secondo la più classica delle spirali dell'odio: la privazione, l'addestramento, l'uccisione di un innocente, le imboscate, gli stupri, la violenza sessuale e l'uso di sostanze stupefacenti. 
Infine, l'arresto da parte delle forze delle Nazioni Unite e la permanenza in un centro di riabilitazione, dove Agu decide di non raccontare quello che ha visto e fatto.

Un film che, pur risparmiando allo spettatore le immagini più violente, resta crudo. Neppure il finale sembra lasciare un spiraglio ad un'infanzia oramai non più recuperabile. E' proprio questo essere lineare nel suo racconto e allo stesso tempo reale, senza scioccare e senza commuovere eccessivamente lo spettatore, che non l'ha fatto apprezzare da una certa critica, che lo ha visto più come un documentario. Un film, purtroppo, che non ha girato e non girerà per i circuiti maggiori del cinema (in Italia è distribuito da Netflix).






Quello dei bambini soldati è un tema ancora attuale. Nonostante alcuni dei maggiori criminali africani che hanno fatto largo uso di bambini (da Charles Taylor a Joseph Kony passando per Foday Sankoh) sono morti, assicurati alla giustizia o resi sempre più inoffensivi, nel mondo in troppi luoghi ancora viene fatto largo utilizzo di bambini ai fini bellici. Ma l'attualità è data anche dal fatto che molti di quei bambini sono oggi ragazzi o giovani traumatizzati che difficilmente troveranno sistemazione nelle loro società.


Per approfondire il tema dei bambini soldati vi segnalo alcune cose:
- Il sito di Child Soldiers International
- Il libro di Giuseppe Carrisi - "Kalami va alla guerra"
- Il libro di Ishmael Beah "Memorie di un soldato bambino"

Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa