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martedì 31 luglio 2012

Cinema: African Cats

African Cats- Il regno del coraggio è un film-documentario girato da Keith Scholey e Alastair Fothergill ed  uscito nel 2011, distribuito dalla Disneynature. Si tratta di un documentario, girato nella Riserva Naturale del Masai Mara in Kenya, e che segue le avventure di un branco di leoni e una famiglia di ghepardi, alle prese con i quotidiani problemi di sopravvivenza.
Il film, girato tutto all'aperto e senza attori (nemmeno quelli animali), è di fatto uno straordinario documentario sulla vita nella savana, poichè, pur focalizzandosi su questi due gruppi di animali (leoni e ghepardi) gli incontri quotidiani con gazzelle, elefanti, struzzi, coccodrilli e innumerevoli altri abitanti del Masai Mara, lo rendono  un viaggio meraviglioso tra uno dei luoghi più incantevoli dell'Africa.
Le immagini sono di stupefacente bellezza e a tratti emozionanti. I registi, esperti documentaristi e zoologi, hanno impiegato oltre un anno per mettere insieme un prodotto di grande qualità, capace di appassionare grandi e piccoli.




Dopo aver seguito le peripezie di Sita, la coraggiosa mamma ghepardo che grazie ai suoi sforzi, al coraggio e alla destrezza, riuscirà a far crescere tre dei suoi cinque cuccioli, sarà impossibile non appassionarsi a questo stupefacente felino. Così come, dopo aver visto la fierezza del leone Fang - pur con il suo dente spezzato - e soprattutto la forza di mamma Layla che riuscirà a far vivere la figlia Mara, sarà difficile non percepire la straordinaria potenza del gruppo.
Un documentario capace di stimolare le nostre corde più sensibili, quelle della forza, dell'attaccamento alla vita e del coraggio, ma al tempo stesso di comunicarci tutta la bellezza e la poesia di una terra che ancora ha dei luoghi dove il protagonista non è l'uomo.
Nella versione americana la voce narrante è dell'attore Samuel L. Jackson, in quella italiana è quella, invecchiata e un po' roca, di Claudia Cardinale.

Un film ideale anche per i bambini, purchè gli adulti li aiutino nei momenti di maggior tensione.

Ecco il sito ufficiale del film

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lunedì 30 luglio 2012

Ebola, alcune annotazioni

Foto Daily News
Il nome Ebola evoca qualcosa di sinistro, di grave e di sconosciuto. In questi giorni è in corso l'ennesima epidemia di febbre emorragica Ebola in Uganda. La febbre emorragica Ebola, il cui nome deriva da un fiume della Repubblica Democratica del Congo vicino al quale si verificò il primo focolaio epidemico nel 1976 - allora il paese si chiamava Zaire - quasi contemporanemente ad un secondo focolaio che si verificò il Sudan meridionale. Quelle prime due epidemie colpirono 318 persone in Zaire (con 280 morti, l'88%) e 284 persone in Sudan (con 151 morti, 53%). La paura che questa malattia incute è derivata dalla sua altissima mortalità (60-70%), dalla mancanza di cure specifiche, dall'assenza di strumenti di prevenzione (tipo vaccini) e dagli inevitabili sospetti sull'uso bellico (o terroristico) che simili virus possono generare.
La malattia, molto simile alla Febbre emorragica di Marburg (i cui primi casi si verificarono nel 1967 in Germania e nella ex-Jugoslavia tra i ricercatori che lavorano con materiali genetici di scimmie ugandesi), è determinata da un virus della famiglia dei Filoviridae - perchè i virus assumono spesso una forma filamentosa - (la stessa della febbre di Marburg) in cui si riconoscono 5 sottotipi di cui 4 che colpiscono l'uomo e un quinto (Reston) identificato negli USA che colpisce solo le scimmie.

Dal 1976 ad oggi vi sono state epidemie in Repubblica Democratica del Congo (1976, 1995, 2007 e 2009), in Sudan (1976 e 2004), in Gabon (1994,1996 e 2001), in Sudafrica (1996), in Uganda (2000, 2007 e 2011) e in Congo (2002). Tutte le epidemie sino ad oggi - nonostante la gravità della malattia - sono state contenute numericamente (la più grave interessò in Uganda nel 2000-2001, 425 persone, di cui 224 (53%) morirono).
Naturalmente il contenimento è derivato anche dal fatto che in quasi tutte le epidemie i medici e le autorità sono stati in grado di circoscrivere il focolaio (la trasmissione avviene per contatto inter-umano) e dal fatto che la trasmissione aeree (quella più pericolosa) è molto bassa.

L'Ebola fa paura è vero. In Africa Ebola ha ucciso molto, ma molto meno, che decine di altre malattie ritenute, da noi, più banali (il morbillo o la malaria, per fare un esempio). Allora è chiaro che la paura assume un altro valore che è quello - da sempre terrore delle autorità sanitarie di mezzo mondo - di una diffusione in aree diverse dell'Africa. Perfino nel cinema questo terrore è stato descritto (tra tutti il film del 1995 Outbreak - in Italia, Virus letale-  con Dustin Hoffman, Morgan Freeman e Rene Russo) con grande intensità (nel film il virus si chiamava Motaba).

Il virus Ebola è infatti classificato dal Decreto legislativo 81/08 come "agente biologico di livello 4" - ovvero il massimo per pericolosità in esseri umani (assieme al Vaiolo e alla Febbre di Lassa) e soprattutto come "agente di bioterrorismo di categoria A", ovvero la massima pericolosità possibile dove fattori quali la facilità di diffusione, l'alta letalità e la capacità di scatenare panico ne fanno una possibile arma micidiale.

La paura di una diffusione, casuale o peggio voluta, incombe ancora una volta sull'umanità, e come avviene per tutti gli agenti patogeni di cui non si riesce a scoprire l'origine, il sospetto di una "mutazione non naturale" tormenta l'animo umano.

Per ora - oltre agli sfortunati e per ora fortunatamente pochi africani che contraggono Ebola - la vera strage Ebola la sta facendo, da anni, tra gli Scimpanzè e i Gorilla che sono stati decimati da questa malattia.

Ecco la pagina del CDC (Centers fo Disease Control and Prevention) su Ebola

Prima medaglia africana alle Olimpiadi di Londra

Foto Upi.com
La prima medaglia dell'Africa alle Olimpiadi di Londra è arrivata nella tarda sera di ieri. Cameron Van Den Burgh, ragazzone bianco di Pretoria, ha vinto i 100 rana, stabilendo anche il nuovo record del mondo con 58"46.
Cameroun, già campione mondiale nel 2009 sui 50 metri rana, aveva già partecipato alle Olimpiadi di Pechino 2008, eliminato nelle batterie.
Nato a Pretoria nel 1988, studente Universitario nella stessa città, ha voluto dedicare la medaglia a Alexander Dole Oen, nuotatore norvegese e suo caro amico, vincitore dei 100 rana ai mondiali morto per un attacco cardiaco il 30 aprile 2012 mentre si allenava per questa Olimpiade, dove probabilmente avrebbe dato filo da torcere a Cameron.

Il Sudafrica non è nuovo alle medaglie olimpiche nel nuoto. Nel settore femminile il Sudafrica salì sul podio fin dal 1928, per poi tornarci, dopo l'esclusione per l'apartheid, nel periodo 1996-2000 grazie soprattutto alla dorsista Penelope Heynes che vinse due ori e un bronzo, in due Olimpiadi (1996-2000).
Nel settore maschile del nuoto il Sudafrica è entrato nell'elite olimpico nel 2004, quando conquistò uno storico oro nella 4x100 stile libero grazie ad uno straordinario Mark Roland Shoeman, che nella stessa Olimpiade conquistò 3 ori (oltre alla 4x100 anche i 100 e i 50 stile libero).

Per il Sudafrica si tratta della 71 medaglia (21 sono di oro).

I post di Sancara sulle Olimpiadi e l'Africa

giovedì 26 luglio 2012

26 luglio 1956: nazionalizzato il Canale di Suez

Nasser durante l'annuncio, dalla rete
Quello che accadde il 26 luglio 1956, ovvero l'annuncio della nazionalizzazione del Canale di Suez durante un comizio ad Alessandria, del Presidente Egiziano Gamal Nasser, fu uno degli eventi, che dopo la fine della seconda guerra mondiale, portarono il mondo molto vicino ad un conflitto mondiale. Quei fatti saranno ricordati come la Crisi di Suez. L'annuncio, che si chiuse con un "augurio agli imperialisti di morire di ira" fu dato lo stesso giorno in cui, quattro anni prima, era stato detroinizzato il Re d'Egitto Faruk.
Il Canale di Suez, che era stato inaugurato il 17 novembre 1869, è stata un'opera sognata dall'uomo per millenni e realizzata dopo complesse vicende, dai francesi e dagli egiziani. Gli inglesi, solo successivamente ne assunsero il controllo (che doveva essere per 99 anni), prima acquistando la quota egiziana e poi occupando militarmente l'Egitto. La società del Canale, a partire dal 1882, fu formata da capitali inglesi e francesi. Il canale, grazie ad un accordo del 1882 (Convenzione di Costantinopoli) fu dichiarato neutrale (sotto controllo inglese) e aperto, sia in tempi di pace che di guerra, a tutti senza distinzione di bandiera.
Naturalmente tale accordo non fu sempre rispettato. Durante la prima guerra mondiale, e soprattutto durante la seconda, fu chiuso ai non alleati.

I motivi per cui Nasser volle nazionalizzare il canale (al tempo la società di gestione era per il 44% controllato da banche e aziende britanniche e l'altra metà di francesi) era legato alla diga di Assuan. Stati Uniti e Gran Bretagna, fin dal 1952, avevano promesso il finanziamento di questa grandiosa opera, ma nel 1956 ritirarono l'offerta accusando l'Egitto di aver aquistato armi dalla Cecoslovacchia, vicina alla dell'Unione Sovietica e di aver stretto relazioni con la Cina (altre fonti sostengono che l'Egitto aveva chiesto, ed ottenuto, finanaziamenti dall'URSS per la costruzione della stessa diga). Per ritorsione Nasser nazionalizzò la società dello stretto per incamerare i fondi necessari per la costruzione della diga. Le entrate annuali del Canale erano, al tempo, circa 100 milioni di dollari all'anno. La notizia fu accolta con grande entusiasmo dagli egiziani.
Gran Bretagna e Francia reagirono stizziti alla nazionalizzazione per ovvie ragioni (la Gran Bretagna  già due giorni dopo bloccò tutti i beni egiziani). Assieme a loro reagì Israele, a cui l'Egitto da tempo tentava di restringerne l'uso del Canale (in realtà Israele rispondeva a precisi ordini degli americani che vedevano nella crisi la possibilità di aumentare la loro influenza in Medio-Oriente, sostituendosi agli europei).
Le Nazioni Unite, grazie anche ai veti, non condannò l'atto di nazionalizzazione, ma chiese al governo egiziano di rispettare alcune regole sul passaggio delle navi.
La situazione precipitò rapidamente. Il Primo Ministro inglese, Anthony Eden, dopo aver paragonato Nasser a Mussolini e Hitler, convinse il suo popolo (i laburisti furono contrari) e gli alleati della necessità di attaccare l'Egitto (mentre segretamente incontrava Francia e Israele per elaborare un piano di intervento).
Il 29 ottobre del 1956 Israele (questo fu il piano concordato) invase la strisca di Gaza e il Sinai, avviandosi verso la sponda est del Canale. Francia e Gran Bretagna si offrirono di occupare il canale per separare gli egiziani dagli israeliani. L'Egitto rifiutò e pochi giorni dopo le truppe anglo-francesi occuparono il canale.

Se militarmente l'operazione a Suez fu un successo, diplomaticamente si rivelò un totale fallimento. Gli Stati Uniti si trovarono nel totale imbarazzo perchè condannando l'invasione sovietica in Ungheria (avvenuta il 4 novembre 1956) non potevano giustificare al mondo l'invasione anglo-francese-israeliana in Egitto. L'Unione Sovietica minacciò di entrare in guerra a fianco dell'Egitto.
Era chiaro che le due superpotenze non gradivano, per ragioni diverse, l'azione anglo-francese.
Il 7 novembre 1956 le Nazioni Unite votarono il posizionamento di una forza di pace (UNEF - Forza di Emergenza delle Nazioni Unite) che già dal 15 novembre sbarcò sul campo. Il 10 gennaio 1957 il primo ministro britannico Eden fu costretto alle dimissioni. Tra febbraio e marzo avvenne - sotto il controllo delle Nazioni Unite - il ritiro delle truppe israeliane e di quelle anglo-francesi. La missione delle NU restò sul canale fino al maggio 1967.

La vittoria egiziana riforzò enormemente il prestigio di Gamel Nasser nel mondo arabo e diede la spallata finale alla caduta dell'impero coloniale britannico e di quello francese africano che da lì a pochi anni collassarono. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica dimostrarono che il controllo del mondo era nelle loro mani e accrebbero la loro influenza sul medio-Oriente e sull'Africa.

La diga di Assuan fu costruita. Nel 1958 l'Unione Sovietica propose di pagare un terzo dell'opera e di fornire l'assistenza tecnica. I lavori inziarono nel 1960 (con tecnici britannici) e si conclusero nel 1970. A causa della diga la comunità internazionale fu chiamata ad un opera straordinaria di conservazione archeologica, trasferendo i siti dei monumenti nubiani di Abul Simbel e di Philae, per evitare che venissero inghiottiti dalle acque.

La Suez Canal Authority (SCA), nata a seguito della nazionalizzazione è ancora oggi un'azienda pubblica egiziana che gestisce il Canale di Suez. Il governo egiziano dovette liquidare economicamente (come da accordi con le Nazioni Unite) gli azionisti della società del canale nazionalizzata.

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mercoledì 25 luglio 2012

Port Harcourt, nominata Capitale Mondiale del Libro 2014

Port Harcourt, dalla rete
E' di qualche giorno fa la notizia che la città nigeriana di Port Harcourt è stata nominata dall'UNESCO e dalle tre maggiori organizzazioni internazionali dell'industria del libro, Capitale Mondiale del Libro per il 2014. 
Sarà la seconda volta, da quando il progetto è stato istituito, nel 2001, che una città africana assume tale ruolo. La prima volta per una città del continente situata sotto il Sahara (infatti nel 2002 fu la volta di Alessandria d'Egitto).
La prima città a fregiarsi del titolo di Capitale Mondiale del Libro fu Madrid nel 2001, seguita da Alessandria, da New Delhi, da Anversa, da Montreal, da Torino (nel 2006), da Bogotà, da Amsterdam, da Beirut, da Lubijana, da Buenos Aires. Quest'anno è stata designata Yerevan, mentre nel 2013 sarà la volta di Bangkok.

Le città vengono scelte come Capitale Mondiale del Libro in furnzione dei loro programmi per la promozione e la diffusione del libro. A partire dal 23 aprile dell'anno designato (Giornata Mondiale del Libro) la città nominata diventa capitale mondiale del libro e si impegna, nel corso dell'intero anno, ad organizzare eventi finalizzati a far accrescere la diffusione del libro.
Port Harcourt è stata scelta, tra una quindicina di candidate, per i suoi programmi rivolti alla diffusione del libro tra i giovani.

Port Harcourt, città di 1,5 milioni di abitanti nel sud della Nigeria (nel delta del fiume Niger, quello devastato dal petrolio) è un'enorme centro industriale del petrolio, fondato nel 1912 dagli inglesi e cresciuto in modo disordinato e caotico. In città vi sono due Università. E' chiamata anche Garden City.

martedì 24 luglio 2012

Thomas Mapfumo, il Leone dello Zimbabwe

Thomas Mapfumo, dalla rete
Thomas Tafirenyika Mapfumo è un musicista dello Zimbabwe di etnia Shona, nato a Marondera, grande centro agricolo del nord-est, nel 1945.  Il suo stile musicale è una miscela di musica tradizione e rock, che noi genericamente definiamo afropop. Mapfumo, che ha scelto, ad un certo punto della sua carriera, di cantare in lingua shona, definisce il suo genere "chimurenga", da una parola in shona che significa "lotta" e che esprime il suo impegno sociale. Del resto quando negli anni '60-'70 Mapfumo iniziò la sua carriera musicale, l'allora Rhodesia era governata da bianchi e i testi delle sue canzoni incitavano alla lotta e alla "cacciata" dei coloni.
Dopo essersi trasferito alla periferia di Harare a 10 anni, iniziò ad appassionarsi alla musica e a 16 anni divenne cantante di un piccolo gruppo. Suonò le musiche dei grandi del rock statunitense (Oddis Redding e Elvis Presley in particolare). Con il gruppo di quel tempo, gli Springfield, incise una serie di singoli tra il 1964 e il 1967. Solo nel 1972 diede vita al suo primo gruppo, gli Hallelujah Chicken Run Band, con cui affrontava i temi della sua gente e iniziò il suo impegno più marcatamente politico. Introdusse anche molti degli strumenti tradizionali shona, come la mbira (strumento lamellare che si suona con le dita), a sottolineare la ricerca nella tradizione e la voglia di trasmettere quei valori che più erano vicini alla sua gente.
Dalla rete
I primi dischi furono banditi dal governo razzista, segno che toccavano corde scoperte del sistema. Ne 1979 fu arrestato e detenuto per tre mesi, per le sue attività di istigazione alla ribellione.
Quando nel 1980 il governo bianco cadde, Mapfumo fu un grande sostenitore del nuovo leader nero Robert Mugabe e per lui suonò al concerto celebrativo assieme a Bob Marley.
Alle fine degli anni '80, non esitò però a criticare il nuovo corso del governo dello Zimbabwe, sempre più "appassionato" del potere, con un album intitolato Corruption (1989) (assieme al suo nuovo gruppo, i Blacks Unlimited), che gli valse la persecuzione nel suo paese e che a lungo andare lo costrinse a fuggire assieme alla sua famiglia in Oregon, dove ancora vive, ritornando solo saltuariamente in Zimbabawe.
Ancora oggi la sua musica è bandita dalle radio del suo paese.

 
La sua popolarità e la sua influenza politica hanno contribuito, assieme alla sua grinta e alla sua determinazione, a farlo conoscere, quasi ovunque in Africa, con il nome "leone dello Zimbabwe". 
Ancora oggi nei suoi tours (per ora tutti negli Stati Uniti) affronta i temi della situazione dello Zimbabwe accusando la classe politica di aver portato il paese alla rovina.
L'ultimo album di Mapfumo è del 2006 e si intitola Rise Up.


Ecco il sito ufficiale di Mapfumo

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lunedì 23 luglio 2012

Mozambico e i farmaci anti-AIDS

Foto dal sito della Fiocruz
In questi giorni, seppure in sordina, si è parlato dell'inaugurazione della prima azienda pubblica africana che produrrà farmaci anti-retrovirali contro l'AIDS. Si tratta della SMM (Sociedade Mocambicana de Medicamentos) che ha sede a Maputo (Mozambico) ed è stata aperta grazie ad un progetto di Cooperazione Sud-Sud, costato circa 35 miliardi di dollari, e che vede coinvolto il Brasile e l'Istituto Fiocruz (fondazione pubblica nel campo della ricerca farmaceutica brasiliana, nata nel 1900).
L'apertura dell'azienda che da fine anno produrrà i farmaci anti-retrovirali direttamente a Maputo - occuperà inizialmente 100 lavoratori - è frutto di un accordo tra i governi del Brasile e del Mozambico, che risale al 2008 (sebbene se ne parli sin dal 2003).
Il Brasile ha una lunga storia di infrazione delle rigide regole delle case farmaceutiche, che gestendo i brevetti dei farmaci anti-retrovirali, costringono i paesi poveri e quelli emergenti a spendere cifre astronomiche per la cura dei malati di AIDS. Infatti nel 2005 il governo brasiliano di Lula, stanco di spendere enormi cifre, decise di aprire un contenzioso con le case farmaceutiche, producendo in proprio i farmaci e riconoscendo solo una "royalties" alle aziende. Fu il primo a infrangere questo tabù con il famaco Kaletra della Abbott.
Oggi il Brasile (assieme all'India) è dotato di leggi che subordinano il diritto di proprietà intellettivo (quello che consente i brevetti dei farmaci, perchè dietro vi è un'indiscutibile opera di ricerca) a quello della salute pubblica. Queste leggi consento di produrre per uso interno farmaci ancora soggetti a brevetto e di esportarli in paesi le cui condizioni sanitarie e produttive non consentono di produrre in prorpio i farmaci.
Il Mozambico, con un numero di malati di AIDS, che oscilla tra il 12% e il 19% della popolazione, ha una grande necessità di produrre in proprio, e a costi inferiori, i farmaci.

La storia dei brevetti dei farmaci è una questione complessa. Da una lato è innegabile che i costi per la ricerca e gli studi (spesso anche la produzione) sui nuovi farmaci hanno costi notevoli che le aziende contano di recuperare attraverso le vendite. La tutela (il brevetto) del prodotto finale da usi "impropri" è una pratica, regolamentata dal diritto internazionale fin dalla fine del 1800, che attiene nella definizione moderna alla "proprietà intellettuale". L'organismo internazionale che regola detta proprietà si chiama WIPO (World Intellectual Property Organization) ed è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite nata nel 1967. Per i farmaci i brevetti (che in termini pratici significa impedire ad altri di produrre lo stesso farmaco) durano 20 anni.
Inutile negare che queste pratiche di tutela hanno consentito anche di creare lobby e monopoli capaci di generare profitti nemmeno immaginabili.

Dalla rete
La questione si complica perchè l'accesso ai farmaci viaggia "a braccetto" con il diritto alla salute. I governi del mondo hanno attuato diverse politiche di welfare che hanno garantito più o meno a tutti di accedere ai farmaci. Certo i governi dei paesi ricchi. E quelli poveri? Fino ad un certo punto sono stati lasciati al loro destino, confidando sugli aiuti umanitari. Nel 1977 fu introdotto il programma Essential Drugs dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che stilava una lista di "farmaci essenziali" (all'epoca 208 sostanze, nel 2007 erano 340) che dovevano essere garantiti di qualità e a prezzi compatibili con le realtà locali. Si tratta, è bene sottolinearlo di "sostanze farmaceutiche": acido acetil-salicidico e non Aspirina, per capirci. Evitando in questo modo la "pubblicizzazione" delle industrie farmaceutiche. La lista viene aggiornata ogni due anni e l'ultima risale al marzo 2011.

Da tempo le organizzazioni umanitarie (Medici senza Frontiere è tra queste) sono impegnate in campagne per favorire l'utilizzo di alcuni farmaci che, essendo di recente generazione (i farmaci anti retro-virali in primis) ricadono ancora sotto la ventennale tutela del brevetto. Il rapido sviluppo della medicina e l'avvento di nuove patologie porta oggi milioni di persone ad essere tagliate fuori, a causa dei costi eccessivi, da cure necessarie per la sopravvivenza.

L'accesso universale ai farmaci, come Diritto dell'Uomo, si scontra con i colossali interessi delle multinazionali del farmaco (è inutile nascondere che una parte consistente delle aziende e alcuni governi dalla spiccata propensione liberlista, sono orientati ad estendere la durata dei brevetti). La campagna "Push for the Pool" aveva lo scopo di "costringere" le grandi case farmaceutiche che producono farmaci contro l'AIDS "a condividere" le loro scoperte (sono oggi 19 le case farmaceutiche del mondo che producono i 23 farmaci anti-AIDS) al fine di concedere ad altri la produzione e le modifiche (tale azione avrebbe naturalmente un effetto sui prezzi e permetterebbe ad aziende dei paesi in via di sviluppo di produrre in proprio i farmaci).

Le decisioni di Brasile e India e oggi l'attuale cooperazione Brasile-Mozambico sono un modo di forzare la mano su un tema di grande attualità - certo non per noi - e che costringe milioni di persone del mondo - certo non del nostro mondo - a non avere accesso alle cure mediche.



La danza mascherata Makishi, patrimonio immateriale

Dal sito UNESCO
La danza mascherata Makishi è praticata dalle popolazioni Luyale, Chokwe, Lichazi e Mbunda nel Nord-Ovest dello Zambia, alla fine del rito di iniziazione maschile denominato mukanda. Ad onor del vero, si può osservare anche in Zimbabwe.
Il mukanda è la cerimonia che culmina con la circoncisione maschile, che si svolge durante la stagione secca (maggio-ottobre),  e che rappresenta il passaggio degli adolescenti (tra gli 8 e i 12 anni) verso l'età adulta.
I makishi, da cui il nome della danza, sono gli spiriti degli antenati che ritornano sulla terra (rappresentati appunto dalle maschere) per guidare e proteggere i ragazzi verso la nuova esistenza.
I ragazzi mascherati (ad ognuno viene assegnata una maschera diversa rappresentante uno specifico "carattere") da makishi viaggiano di villaggio in villaggio annunciando l'avvento del mukanda.
Dalla rete
La festa è poi accompagnata da musica (soprattutto percussioni) e cibi preparati per l'occorrenza dalle donne, con preparazioni appartenenti alla tradizione.

La preparazione incomincia molto prima, quando, all'inizio della stagione secca, i ragazzi vengono allontanati dal villaggio e trasferiti in un luogo nella foresta dove riceveranno tutte le conoscenze per avviarsi all'età adulta e simbolicamente "uccideranno" il bambino che è in loro. Un tempo tale cerimonia durava tre mesi, oggi è ridotta ad un mese, per far convivere i calendari scolastici con i riti tradizionali. Stando all'associazione culturale del popolo Mbunde, sono una cinquantina le cerimonie makishi che si svolgono ogni anno.
La cerimonia (ed è per questo che è stata inserita tra i patrimoni immateriali dell'umanità) ha un alto valore educativo, poichè ai ragazzi durante la loro permanenza "nel campo della foresta", gli vengono trasmesse conoscenze sulla sopravvivenza nella foresta, sulla sessualità, sulla natura, sui comportamenti e sui ruoli sociali e sulle credenze religiose. Un'iniziazione reale alla vita futura e al tempo stesso un meccanismo per preservare antiche e complesse conoscenze.

Dal 2008 (in realtà dal 2005) il rito di iniziazione e la danza maschera Makishi sono stati inseriti tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO. L'impegno della comunità internazionale è quello di salvaguardare una tradizione secolare, attraverso la formazione dei giovani, la ricerca e la raccolta documentale.

Ecco il link verso il video dell'UNESCO sulla danza makishi.

Vi linko anche questa pagina, tratta dal sito dell'Associazione Culturale del Popolo Mbunde (Cheke Cha Mbunde) che racconta le origini e le motivazioni per cui questa cerimonia deve esser salvaguardata.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni immateriali dell'umanità in Africa

venerdì 20 luglio 2012

Leone, il re della savana

L'immagine del leone (Panthera leo) è associata all'Africa. In effetti, se si esclude un piccolissimo gruppo di questi felini (circa 400) , presente presso il Gir Forest National Park del Gujarat in India (della sottospecie Panthera leo persico), il leone vive solo in Africa sub-sahariana. Un tempo (gli studiosi indicano in circa 10 mila anni fa)  il leone era il mammifero più diffuso dopo l'uomo. Poi lentamente è sparito dall'Europa, dal Nord America, poi dal Medio Oriente e dall'Africa del Nord (circa un secolo fa).
A dispetto dell'appellativo di "re della giungla" (ovvero la foresta pluviale tropicale), il Leone vive (tra i 16 e 20 anni) esclusivamente nella savana e raramente si avventura in spazi ove la visuale è limitata (la giungla, appunto). Il leone, che è un predatore carnivoro, si nutre di 5-7 kg di carne al giorno ma, può arrivare ad ingerire fino a 30 kg di carne in un'unico pasto. E' l'unico felino dotato di un dimorfismo sessuale (differenza tra maschi e femmine) così accentuato, rappresentato dalla folta criniera che è presente solo nei maschi adulti.


L'Habitat del Leone, da Wikipedia
I dati dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), il massimo organismo mondiale che si occupa della conservazione del patrimonio naturalistico, dicono che sin dal 1996 il leone è classificato tra le specie Vulnerabili (VU). Infatti la sua popolazione è in diminuzione di circa il 30% nelle ultime due decadi. Essere in grado di "contare" il numero dei leoni che vivono nel pianeta è un'impresa complessa. Le ultime stime parlano di un numero tra i 16.000 e i 30.000 esemplari (tanto per fare un paragone a metà degli anni '90, si stimavano essere tra i 30.000 e i 100.000, mentre negli anni '50 si stimavano in 400 mila).
A far calare il numero dei leoni incidono diversi fattori, ma il più evidente è quello della competizione con gli uomini. I leoni vengono uccisi per difendere gli allevamenti e le persone, poichè nel tempo l'habitat umano si è esteso ed ha invaso quello dei felini. Il conflitto con l'uomo determina anche la perdita di vite umane: un recente studio ha stimato in 400 le vittime dei leoni in Tanzania nel periodo 1997-2007. Altri stimano in una settantina i morti annuali a causa degli attacchi dei leoni. Gli studiosi però propendono nel collegare gli attacchi dei leoni agli uomini alla cattiva salute dei felini (ovvero animali feriti o menomati per cacciare le prede abituali).
Ngorongoro, 1991
Un'altro elemento che contribuisce alla riduzione di questi felini è la caccia. Il Leone continua ad essere un trofeo ambito da parte dei cacciatori. Infine, l'ultimo elemento che determina la diminuzione del numero dei leoni sono le malattie.







dalla rete
Il leone è sempre stato oggetto di un fascino del tutto particolare da parte dell'uomo sin dalle origini. Il termine leone ha spesso significato coraggio, intravedendo nel comportamento del felino quello di un inarrendevole e fiero guerriero. Sicuramente sarà per la sua mole (può arrivare ad un peso vicino ai 200 kg per una lunghezza di 2,5 metri e un altezza di 1,2 metri), per la sua criniera maestosa o per il suo ruggito che incute timore e rispetto. Quel che è certo che sono infinite le storie (non solo in Africa), i racconti, i film, i quadri, i cartoni animati, i loghi e perfino le canzoni che hanno come soggetto i leoni. In tutti gli zoo del mondo (si contano circa 2000 esemplari negli zoo del pianeta, più o meno equamente divisi tra la sottospecie africana e quella asiatica) i leoni sono un punto di attrazione e la chiave del successo.

Tra i temi che Sancara ha trattato e che riguardavano i leoni, vi segnalo i film Nata libera (dalla storia vera delle leonessa Elsa allevata dai coniugi George e Joy Adamson) e Spiriti delle Tenebre (da un'altra storia vera, sicuramente meno romantica).

E' evidente che oggi i Leoni vivono esclusivamente nei Parchi nazionali africani dove possono essere tutelati e protetti. Quelli dove sono più numerosi, sono l'Etosha in Namibia, il Serengeti in Tanzania e il Kruger in Sudafrica. Questi sono alcuni dei parchi africani, di cui Sancara ha scritto un post, in cui è ancora possibile osservare i leoni:

- Parco Nazionale W Region (Niger, Burkina Faso, Benin)


La scheda sul Leone della IUCN Red List
Pagina sui Leoni della African Wildlife Foundation
Foto sui leoni da ARKive
Pagina del Leone su Wikipedia, per tutte le curiosità su questo splendido felino


Vai alla pagina di Sancara Animali d'Africa

giovedì 19 luglio 2012

Popoli d'Africa: Damara

Foto: Frantisek Staud
I Damara, chiamati anche Daman, Damaqua o Bergdama, sono un gruppo etnico della Namibia che, con circa 100 mila individui, costituiscono il 7% dell'intera popolazione del paese. Tradizionalmente allevatori (coltivano vegetali e tabacco) e agricoltori, sono anche abili artigiani, in particolare lavorano le pelli, costruisco collane con perle di vetro, vasi e oggetti di legno e metallo.
Quelli che vivono in città sono impegnati in varie attività economiche, dall'insegnamento, al turismo al lavoro in miniera. Si dividono in clans patrilineari (oggi se ne contano 11) e  riconoscono un re. Molte donne Damara, come quelle Herero, indossano abiti vittoriani.
Donna Damara in vestiti "vittoriani" (dalla rete)
Gli atropologi si riferiscono ai Damara considerandoli una rara eccezione. Infatti pur essendo di chiara origine bantu parlano una lingua simile a quella dei Nama, del ceppo khoisan, cioè una lingua tonale, contraddistinta da numerose consonanti "clic" (ottenute facendo schioccare il palato). Le lingue khoisan sono parlate dai "pigmei" dell'Africa sud-occidentale e secondo alcuni storici sembra sia stata adottata dai Damara dopo il loro incontro con i nomadi Nama (secondo alcuni studi i Damara, ridotti in schiavitù dai Nama, furono costretti ad utilizzare la loro lingua).
Quel che è certo è, da quel poco che si conosce della storia dei Damara e della loro origine, che prima del 1870, ovvero dalla discesa dei Nama e degli Herero (con cui si scontrarono), erano il gruppo predominante dell'area.
Nel 1973 i sudafricani, che fino al 1990, hanno amministrato l'ex-Africa occidentale tedesca (poi Namibia) costituirono il bantustan (le aree riservate ai neri nell'ambito della politica segregazionista dell'apartheid) denominato Damaraland (denominazione che sebbene non esiste più è ancora comunemente usata), dove di fatto, deportarono tutti i Damara. Si tratta di un'area di circa 5 milioni di ettari, che arriva fino agli oltre 2000 metri di altitudine, semi-desertica e arida, nell'attuale regione di Erongo, nella Namibia del centro-settentrionale.

I Damara sono un popolo che, originariamente molto schivi (gli uomini potevano essere molto aggressivi nei confronti degli estranei), si sono lentamente (a partire dagli anni '90) aperti al turismo.

Per approfondire ecco il sito del Living Museum of Damara (ispirato anche al lavoro dell'alpinista trentino Reinhold Messner)

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mercoledì 18 luglio 2012

Happy Birthday Mister President

Nelson Mandela, oggi (dalla rete)
Oggi Nelson Mandela compie 94 anni. Un traguardo di tutto rispetto per qualsiasi uomo del pianeta, una rarità per un africano, sebbene della borghesia, un fatto straordinario per un uomo che ha ingaggiato una lotta estrema contro un governo razzista, che dopo averlo accusato di terrorismo l'ha tenuto in galera per decenni.
Infatti, quando l'11 febbraio 1990 Nelson Mandela varcò le porte del carcere, finalmente libero, erano trascorsi quasi 28 anni dal giorno in cui vi era entrato, a 44 anni.
Certo la straordinaria forza di Mandela non è stata solo nella tenacia della sua azione, nella caparbietà e nelle ragioni delle sue idee, ma in una grande organizzazione, quella dell'African National Congress (ANC), che egli stesso aveva contribuito fortemente a creare, che ha saputo tenere alta l'attenzione sulla loro causa e sul loro leader in prigione.
L'azione di Albert Luthuli, di Oliver Tambo e di Walter Sisulu, assieme a molti alti, ha di fatto impedito che a Mandela toccasse la stessa sorte di molti altri giovani leader africani, che sono stati eliminati senza tante storie. L'ANC ha saputo proteggere Nelson, anche mentre si trovava in galera, rendendo l'eliminazione fisica di Mandela, un fatto impensabile perfino per il governo sudafricano che a quei tempi non esitava a sparare sulla folla e sui bambini.
Quando Thomas Sankara fu assassinato, si racconta che non esitò di dire ai suoi compagni "state fermi, è me che vogliono", esprimendo in questa semplice frase tutta la solitudine di un uomo che stava rivoluzionando un paese e di cui si assumeva tutta la responsabilità. La stessa solitudine che provò sicuramente Patrick Lumumba quando fu assassinato nella foresta da un plotone di esecuzione.

La forza di Mandela è stata sicuramente nelle sue idee, ma le sue azioni - compreso il suo sacrificio nel rimanere in galera per tre decenni o l'essere pronto a perdonare e trattare con i nemici - non sono state da meno. Come giustamente sottolinea oggi Raffaele Masto nel suo blog Buongiorno Africa, Mandela aveva la possibilità, una volta divenuto, nel 1994, primo Presidente nero del Sudafrica, di rimanerci a vita o di riempiere le stanze del potere di membri della sua famiglia. Ma, alla fine del suo mandato, nel 1999, lasciò il posto ad altri, esprimendo in questo modo, un esempio che nella politica è più unico che raro.

Mandela è in modo indiscusso l'icona vivente dell'Africa, il simbolo del riscatto per tutti gli uomini dalla pelle nera del pianeta e l'emblema della lotta per la giustizia e l'uguaglianza per il mondo intero.

Auguri Mister President e grazie per tutto quello che ha fatto, noi non lo scorderemo mai.

martedì 17 luglio 2012

Benouè National Park

Foto Maremagna
Il parco nazionale di Benouè si trova nel nord-est del Camerun. E' stato istituito nel 1932 come riserva faunistica e nel 1968 è divenuto parco nazionale. Dal 1981 è Riserva della Biosfera tutelata dall'UNESCO. Oggi ha una superficie di 180 mila ettari e il suo territorio (tra i 250 e i 760 metri d'altitudine verso il Monte Garoua, che arriva a 1000 metri) è attraversato per una parte dal fiume omonimo, lungo circa 1400 chilometri.
L'area è un ecosistema di foresta tropicale con ampi spazi di savana.
Tra gli animali che vivono del parco vi sono anche 30 leoni (tra gli ultimi dell'Africa Occidentale) oltre a elefanti, leopardi, rinoceronti neri, iene, antilopi, buffali, ippopotami e coccodrilli.
Il parco è anche un paradiso ornitologico poichè vivono oltre 306 specie di uccelli.

All'interno del Parco, circa 35 chilometri dall'entrata principale, si trova una Camp (Buffle Noir) con alcuni bungalow e un ristorante.
Come avviene in tutte le Riserve della Biosfera del pianeta, la presenza dell'uomo all'interno è prevista e auspicata con attività sostenibili, tra cui il turismo e la ricerca scientifica. Nella'area della riserva le popolazioni locali coltivano il cotone e oltro a cacciare e pescare per la loro sopravvivenza.
Foto dalla rete
Di contro tra le maggiori minacce della Riserva vi è l'abbattimento degli alberi (per farne legna da ardere o per il commercio), gli incendi e la caccia abusiva. Sorprende quindi vedere (e ben pubblicizzato) proprio a ridosso dell'area del parco, una zona dove è possibile fare safari - non quelli fotografici- con tanto di prezzario, numero di capi che è possibile abbattere, armature e foto di "trofei", molto discutibili. Neanche a dirlo, l'area è gestita (come dice la loro pubblicità) da oltre 25 anni da italiani (Ital Big Game Safari). Naturalmente, a scanso di equivoci, tutto rigidamente legale.



Ecco il sito ufficiale del Parco
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Cinema: Muzungu - L'uomo bianco

Molto spesso anche le commedie, i film leggeri e per nulla impegnati, possono essere ben fatti e soprattutto far riflettere, molto. E' il caso di questo film uscito nel 1999, Muzungu - L'uomo bianco, diretto da Massimo Martelli e interpretato da uno straordinario Giobbe Covatta, che ha anche scritto la storia e la ha sceneggiata.
Un film girato in una missione del Kenya, con una storia molto semplice. Il protagonista, Eduardo detto Dodo (interpretato appunto da Covatta), animatore di villaggi turistici oramai quarantenne, assieme ad un collega e ad una turista, a seguito di un incidente aereo si ritrova ad essere salvato da un prete missionario di uno sperduto villaggio del Kenya. Il gruppo finisce, forza maggiore, per passare molto tempo in questo luogo, assieme alla popolazione locale e ai volontari, in attesa dei soccorsi e a Dodo spetterà anche il compito di prendere il posto di padre Luca, malato, durante la visita del Vescovo (interpretato da Flavio Bucci). Alla fine, deciderà di rimanere alla missione, per dare una mano.
Senza la pretesa di essere fonte di chissà quale morale, il film si pone l'obiettivo di raccontare un piccolo pezzo d'Africa e di mettere in risalto il travaglio interiore di Dodo, abituato alla spensieratezza e al puro divertimento di una esistenza vacanziera, di fronte "ai problemi" della vita. Non a caso, muzungu, significa in swahili più o meno "uomo confuso che gira intorno", che ben inquadra la sensazione di trovarsi, alla soglia dei quaranta anni, a porsi, forse per la prima volta, qualche interrogativo sulla vita reale.

Nello stile di Giobbe Covatta, è significativo il suo discorso (postato qui sotto) di fronte a Vescovo, quando egli iniziando in modo impacciato e formale,  finisce con un'arringa appassionata, che apparentemente è un pezzo comico ma, che in realtà nasconde, con notevole intensità, una triste presa d'atto della condizione di molti abitanti dell'Africa. Guardatelo, perchè merita.

Insomma un film da guardare, ripeto senza nessuna pretesa, ma capace di far sorride, come è giusto che sia quando si guarda una commedia con protagonista un bravo comico, ma che al tempo stesso è capace di concedere qualche riflessione più intensa.



Giobbe Covatta, pugliese di nascita, ma napoletano di adozione, oltre ad essere uno scrittore e un attore comico, è da tempo impegnato come testimonial di organizzazioni non governative del calibro di AMREF e di Save The Children.
Nella sua carriera ha sempre posto il tema del rapporto tra Africa e mondo occidentale. 

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lunedì 16 luglio 2012

L'Africa ai Giochi Olimpici - quarta parte

Questo quarto post di Sancara, dedicato alla presenza africana ai Giochi Olimpici, oramai a pochi giorni dell' inizio di quelli di Londra, chiude un percorso iniziato tempo addietro. Nel primo post si è affrontato la questione generale relativa alla partecipazione dei paesi africani alle Olimpiadi, nel secondo si è cercato di analizzare le discipline sportive che hanno caratterizzato la storia dell'Africa alle Olimpiadi estive e infine il terzo post ha affrontato la partecipazione olimpica africana al femminile.


L'etiope Bekele Kenenisa a Pechino 2008
Le medaglie olimpiche maschili africane sono state, ad oggi 240 (60 di oro, 80 d'argento e 100 di bronzo), ovvero il 76,7% della medaglie complessive africane (313).


In campo maschile, così come nel femminile, è l'atletica (con 144 medaglie, di cui 47 di oro) ad essere la regina africana olimpica, seguita dal pugilato (58 medaglie, di cui 8 d'oro), dal sollevemento pesi (9 medaglie, di cui 5 di oro), dal ciclismo (8 medaglie, di cui una d'oro tutte vinte dal Sudafrica bianco dal 1912 al 1956), dal tennis (6 medaglie, 2 di oro - tutte del Sudafrica l'ultima nel 1992) e dalla lotta (6 medaglie, 2 di oro), dal nuoto (5 medaglie, 1 di oro), dal calcio (4 medagli, due di oro), dai tuffi e dal teakwondo (2 medaglie), e infine con una medaglia ciascuna il tiro a segno, il canottaggio e la canoa.


Sono 4 gli africani che hanno vinto 4 medaglie, tutti nell'atletica. A guidare questa speciale classifica è l'etiope Bekele Kenenisa, che ad Atene 2004 ha vinto l'oro nei 10.000 metri e l'argento nei 5.000 metri, mentre a Pechino 2008 ha vinto l'oro sia nei 5.000 che nei 10.000. Bekele, ancora in attaività, vanta anche 11 titoli mondiali di corsa campestre.
Il keniano Keino Kipchoge a Città del Messico 1968


Anche il keniota Keino Kipchoge ha vinto 4 medaglie olimpiche in due Olimpiadi, Citta del Messico 1968 (oro nei 1500 metri e argento nei 5.000 metri) e a Monaco 1972 (oro nei 3000 siepi e argento nei 1500). Keino aveva partecipato anche alle Olimpiadi di Tokyo, giungendo 5° nei 5000 metri.


Frankie Fredericks ad Atene 2004
Altro grande africano, vincitore di 4 medaglie d'argento è stato l'ingegnere minerario namibiano Fredericks "Frankie" Frank. Alle Olimpiadi di Barcellona 1992 Fredericks giunse all'argento sia nei 100 che nei 200 metri (dietro rispettivamente all'inglese Linford Christie e all'americano Michael Marsh). Nel 1996 ad Atlanta giunse da protagonista come favorito, ma anche in quell'occasione raccolse "solo" due argenti (finendo alle spalle del canadese Donovan Bailey nei 100 e dell'americano Michael Johnson nei 200, entrambi al record del mondo). Il namibiano - considerando anche i mondiali - può essere ritenuto " l'eterno secondo". Dovette poi saltare per infortunio l'Olimpiadi di Sydney e corse la sua terza e ultima olimpiade ad Atene nel 2004, giungendo 4° nei 200 metri. Fredericks ancora oggi è l'unico atleta della Namibia ad aver vinto una medaglia alle Olimpiadi e uno dei migliori e più costanti velocisti di tempo.


Infine, con quattro medaglie anche il tunisino Mohammed Tlili Gammoudi. Il fondista le conquista in tre Olimpiadi. A Tokyo nel 1964 vince l'argento nei 10.000 metri, a Città del Messico nel 1968 vince l'oro nei 5000 metri e il bronzo nei 10.000 e infine, a Monaco 1972 conquista l'argento nei 5000 metri.


Vi sono poi alcuni atleti che hanno vinto tre medaglie alle olimpiadi. Sono gli etiopi Wolde Mamo (1960-64) e Yifter Miruts (1968-72), il marocchino Hicham El Guerrouji (2000-2004) e il sudafricano bianco Rudd Bevil (1920) per quanto riguarda l'atletica. Poi, sempre con tre medaglie, vi sono i sudafricani bianchi Charles Winslow, nel tennis (1912-1920) e il nuotatore Mark Schoeman (2004).

Benjamin Boukpeti, bronzo nel K1 a Pechino 2008
Vale la pena sottolineare alcuni risultati che negli ultimi giochi olimpici hanno permesso all'Africa di entrare nel medagliere di sport, ritenuti "inusuali" per il continente. Alle Olimpiadi di Atene del 2004 il Sudafrica vinse la prima medaglia africana nel canottaggio. Il due senza di Cech Donovan e di Ramon di Clemente si aggiudicarono la medaglia di bronzo in una disciplina molto tecnica e che il Sudafrica aveva inseguito a lungo. Negli stessi giochi l'Africa vinse anche la prima medaglia nel teakwondo, con l'egiziano Tamer Bayoumi che giunse al bronzo (nel 2008 anche il nigeriano Chika Chukwemerjie arrivò allo stesso traguardo).
Il nigeriano Chika Chukwemerjie, bronzo a Pechino 2008
Alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 il togolese Benjamin Boukpeti portò la prima medaglia di bronzo nella canoa, specialità K1, mentre il tunisno Oussama Mellouli, con il bronzo nei 1500 metri, portò all'Africa la prima medaglia "non bianca" nel nuoto (comunque nel 2004 il Sudafrica aveva conquistato l'oro nella 4x100 stile libero).
Anche questi sono piccoli segni di un continente in grande movimento.


Infine vale la pena ricordare le medaglie del calcio africano che sono state quattro, di cui due d'oro. A Barcellona 1992 il Ghana vinse la prima medaglia con un bronzo, che ad Atlanta 1996, grazie alla Nigeria, divenne un oro. A Sydney 2000 fu la volta del Camerun che replicò l'oro. Infine, a Pechino 2008, ancora la Nigeria questa volta con un argento.

Tra pochi giorni vedremo come l'Africa si comporterà nella terza Olimpiade londinese.


Vai al post L'Africa ai Giochi Olimpici - prima parte

venerdì 13 luglio 2012

13 luglio 1985, il giorno del Live Aid

Per molti è stato uno dei più grandi eventi musicali della storia. Il concerto chiamato Live Aid (in realtà furono due concerti contemporanei, a Londra e Filadelfia) nasce dalla volontà dell'irlandese Bob Geldorf (cantante e leader dei Boomtown Rats oltre che impegnato attivista) e del cantatuore Midge Ure (leader degli Ultravox) con l'intento di aiutare le popolazioni dell'Etiopia, colpite da una gravissima siccità.
Il 13 luglio 1985 a partire dalle 12.00 allo Stadio Wimbledon di Londra (e fino alle 22) e dalle 13.50 al JFK Stadium di Filadelfia (e fino alle 4.05) si susseguirono sul palco i più grandi artisti del rock. Un evento ripreso dalla BBC e dall'ABC e che, un'innumerevole numero di televisioni e radio, hanno trasmesso in parte. Si stima che un miliardo e mezzo di persone seguirono il concerto. Live Aid "non solo è stato un trionfo perchè ha portato i mali dell'Africa davanti ad una platea vastissima, ma aveva anche annunciato a gran voce un'epoca di moralità". Purtroppo, la seconda parte, quella che chiedeva "un'altra dimensione delle politiche di aiuti e di sviluppo", a distanza di decenni, è decisamente fallita.
Fu un'evento straordinario capace di raccogliere 140 milioni di dollari (nel 1992 quando fu chiuso il fondo che era stato aperto nel 1985, il ricavato complessivo fu di 245 milioni di dollari). 

Naturalemente il grande afflusso di denaro, non ha inciso (se non alleviando, in parte, le sofferenze del momento) sulle sorti di un paese come l'Etiopia. 




Sicuramente una delle più memorabili apparizioni di quel concerto (a Filadelfia) fu quella dei Queen. L'energia impressa da Freddy Mercury, nato in Africa, fu straordinaria. Ancora oggi, guardando e ascoltando questo filmato, è impossibile non emozionarsi.

Dal sito di Rollinstones Italia è possibile vedere alcuni meravigliosi filmati di quei concerti.


La siccità e la carestia nel nord dell'Etiopia, iniziò nel 1984, per concludersi (almeno nella sua parte più acuta) alla fine del 1985. Colpì complessivamente 8 milioni di individui e di questi, un milione morirono di fame, molti dei quali bambini.
Foto di  Barry Thumma, marzo 1985
Le immagini trasmesse dalla BBC che descrivevano, come un commentatore ebbe a dire, "la cosa più vicina all'inferno sulla Terra", ebbero un impatto molto forte su chi vide quelle immagini e sugli organizzatori del concerto.
Certo la crisi del 1984-85 in Etiopia era stata largamente annunciata. Le organizzazioni avevano lanciato, inascoltate, l'allarme da tempo. Il governo etiope tentò, con la forza (e sotto gli occhi silenziosi della comunità internazionale) di spostare i contadini del nord verso il sud (furono oltre 600 mila le "deportazioni"), nel mentre infuriava la guerra - sostenuta dai sovietici -  con la guerriglia eritrea e tigrina- sostenuta dagli americani.
Per descrivere meglio com'era la situazione in Etiopia a quel tempo, vi posto, dalla rivista Nigrizia, un articolo di Angelo Del Boca (ex giornalista di Il Giorno e grande esperto di Africa coloniale italiana) apparso appunto su Nigrizia nel febbraio 1985.
E' inultile sottolineare come, nonostante le buone intenzioni e nonostante il fatto che il grande afflusso di denaro abbia, nell'immediato, portato benefici alla popolazione locale, non sono mancati, come testimonia anche questo reportage (sempre su Nigrizia o su The Telegraph), casi in cui il denaro degli aiuti è stato dirottato altrove.
Così, quando nel 2011, scoppiò l'ennesima grave carestia nel Corno d'Africa (Sancara scrisse questo post intitolato Siccità, carestie e ipocrisie) il pensiero fu quello di constatare amaramente, come eventi come Live Aid (purtroppo) e quasi 30 anni di assurde politiche si sviluppo (con un'afflusso di denaro straordinario) non siano serviti a nulla. 



Ecco una galleria fortografica su quella carestia di Brian Stewart
Vai alla pagina di Sancara su Date storiche per l'Africa

giovedì 12 luglio 2012

Tre nuove Riserve della Biosfera in Africa

Logo del programma Man and Biosphere
Con la decisione di ieri, il Comitato per lo sviluppo del programma Man and Biosphere (MAB) dell'UNESCO, ha iscritto 20 nuove Riserve della Biosfera nella speciale lista, di queste 3 sono in territorio Africano.

Con le nuove 20 iscrizioni, diventano complessivamente 598 le Riserve della Biosfera del mondo, in 117 paesi.
In questa ultima tornata vi sono tre paesi (Haiti, Kazakhstan e Sao Tomè e Principe) che per la prima volta entrano a far parte del nutrito gruppo di stati che hanno almeno una Riserva.
In questa circostanza sono state 2 le Riserve della Biosfera aggiunte di Cina e Giappone, 1 quelle di Austria, Francia, Haiti, India, Indonesia,  Kazakhstan, Messico, Spagna, Svezia, Russia, Regno Unito, Sao Tomè e Principe, Senegal e Etiopia. Una riserva è divisa tra Bielorussi, Polonia e Ucraina, mentre un'altra è divisa tra Croazia e Ungheria.

Il comitato ha anche deciso l'estensione di 4 Riserve, 2 in Spagna, una in Cile e un'altra in Francia.

Le nuove Riserva della Biosfera africane sono:

- La foresta di Sheka in Etiopia, una straordinaria foresta tropicale di oltre 238 mila ettari, tutelata dalle popolazioni locali;
- L'isola di Principe, a Sao Tomè e Principe, la più vecchia isola vulcanica dell'arcipelago;
- La zona semi-arida del Ferlo nel nord del Senegal, oltre 2 milioni di ettari di area predesertica ancora interessata dall'allevamento.
Diventano così 77 le Riserve della Biosfera in Africa, distribuite in 34 paesi
I paesi che hanno più riserve sono l'Algeria, il Kenya e il Sudafrica con 6 siti ciascuno.

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