venerdì 28 febbraio 2014

Wadi Allaqi

Wadi Allaqi è una Riserva della Biosfera sita nella zona desertica del sud-est dell'Egitto, sulla sponda est del lago Nasser e fino al confine con il Sudan. Wadi, letteralmente significa fiume secco, ed infatti gli oltre 23 mila chilometri quadrati della riserva si sviluppano seguendo l'alvo secco del fiume per oltre 270 chilometri. Il territorio si trova in una zona che varia la sua altitudine tra i 165 metri e i 1500 metri. La temperatura può raggiungere i 45 gradi e gelare di notte.

Oggi nella riserva vivono poco più di 500 persone. Il numero diminuisce progressivamente a causa della scarsità d'acqua (non piove in alcune aree dal 1996) che rende la vita proibitiva. Solo alcune zone vengono riempite di acqua durante le piene alluvionali del Nilo. Gli abitati sono di due tribù stanziali (Abadba e Bishari), mentre talora si vedono nomadi di etnia Begia (in carovana nel passaggio dal Sudan all'Egitto).

All'interno della riserva si svolgono attività di agricoltura di sussistenza e vengono raccolte piante medicinali.

Nella riserva (che fu dichiarata area protetta nel 1989, la prima dell'Egitto) e inserita nel programma delle Riserve della Biosfera nel 1993, vivono 139 specie di piante, 20 specie di mammiferi (tra cui la gazella dorcade e il coccodrillo nei pressi del Lago Nasser) e 69 specie di uccelli.

In accordo con i principi delle Riserve della Biosfera, Wadi Allaqi è divisa in un'area di riserva integrale (core) di circa 63 mila ettari (in realtà si tratta di due aree distinte), un'area buffer di 131 mila ettari e l'area di transizione di oltre 2 milioni di ettari.

L'area era conosciuta dagli egizi e nubiani per le miniere di oro (recentemente, nel 1989, poco più a Sud, in territorio sudanese, è stato scoperto l'insediamento urbano di Berenice Pancrisia, chiamata la città dell'oro).
La multinazionale australiana Gippsland ha avuto dal governo egiziano la concessione per le ricerche minerarie (principalmente oro, ma, anche rame e Nichel si cercano) in 9 zone intorno a Wadi Allaqi, per un totale di 144 chilometri quadrati.

Ecco un report dettagliato sulla Riserva di Wadi Allaqi

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa


giovedì 27 febbraio 2014

Kayamba, il suono dei Luo

La Kayamba è uno strumento idiofono (i cui suoni sono prodotti dai materiali di cui è costruito) tradizionali dell'etnia Luo del'Africa Centro-Orientale, tuttavia diffuso anche in altre aree, come il Congo. Si tratta di uno strumento, che può avere forme diverse (rettangolare o esagonale), il cui principio  costruttivo si basa su due tavole sottili (in genere di legno, ma possono essere anche di gomma) unite tra di loro da un particolare intreccio di fili e sisal, nella cui cavità interna vengono posti ciotoli, semi e fagioli. Agitato e ruotato (talora con l'ausilio di una o due maniglie) produce un suono asciutto caratteristico e ritmico che accompagna cerimonie, tradizioni e alcuni tipi di danza. Il principio ricorda molto da vicino quello delle più conosciute maracas, mentre il suono assomiglia molto a quello del bastone della pioggia, ovvero allo scorrimento dell'acqua.

Vai alla pagina di Sancara sugli Strumenti musicali africani

martedì 25 febbraio 2014

Da Sankara a Museveni. Sulla felicità.

Era il  1984 quando Thomas Sankara pronunciava queste parole: "La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremo dire che la gente è un po' più felice...... perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità." Oggi, nel 2014,  in Uganda entra in vigore una legge, sottoscritta del Presidente Yoweri Museveni, che condanna all'ergastolo chi commette il reato di omosessualità.


Trent'anni sono passati. Allora un giovane Thomas Sankara faceva sognare il suo popolo. Iniettava parole di fiducia per un futuro che poteva solo essere migliore. Lo faceva in primo luogo con l'esempio, quotidiano. Certo era un sogno, credo ne fosse perfettamente consapevole, ma era uno di quei sogni che valeva la pena di essere sognato. Un sogno, che Sankara pagò con la sua vita.

A distanza di 30 anni l'Africa, e più in generale il mondo intero, vive momenti terribili. Guerre, corruzione, sofferenze e ingiustizie attraversano il continente, in lungo e in largo.

Oggi Museveni, salito al potere nel 1986 (un anno dopo l'assassinio di Thomas Sankara) e distintosi per il suo spregio per i diritti, etichetta come "disgustosi, innaturali e senza diritti" gli omosessuali, aprendo, di fatto, la "caccia ai gay" in Uganda (un quotidiano ha pubblicato una lista di nomi e foto di personaggi pubblici ugandesi, sotto il titolo "Scoperti!").

Quella felicità individuale che per Sankara era il faro che illuminava la sua rivoluzione, diviene oggi per Museveni una ricchezza da disprezzare e da sopprimere (la legge entrata in vigore mette sullo stesso piano i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti e l'abuso di minori!) con ogni mezzo.

Ecco l'articolo di oggi su Repubblica
Ecco un approfondimento dal Blog di Fulvio Beltrami (che in Uganda vive) Frammenti Africani





Gentlemen of Bacongo

da Gentlemen of Bacongo, di Daniele Tamagni
Nonostante le guerre, nonostante le gravi difficoltà che il continente africano ha attraversato e attraversa, i suoi popoli trovano sempre una ragione e un motivo per sorridere e, perchè no, per stupire. Non sorprende quindi che nelle capitali di due paesi, uno dei quali da decenni in guerra, ci si possa imbattere in scene come quelle documentate, nel 2010, dal fotografo italiano freelance Daniele Tamagni. Tamagni ha immortalato magnificamente i dandy congolesi (riuniti nell'associazione SAPE - Societè des Ambianceurs et des Personnes Elegantes e per questo chiamati Sapeurs) che mettono insieme l'eleganza coloniale della fine '800 con la stravaganza, la giocosità e la trasgressione tipicamente africana.
Kinshasa e Brezzaville, rispettivamente capitale della Repubblica Democratica del Congo e della Repubblica del Congo, tra loro separate dal fiume Congo, hanno sempre ospitato, fin dalla loro fondazione che risale alla fine del 1800, avanguardie culturali e politiche. A partire dagli '30 si svilupparono esperienze musicali straordinarie e la rumba congolese e poi il soukous arricchivano le notti congolesi. Contemporaneamente si sviluppò un parte importante del pensiero politico anticoloniale che portò all'indipendenza del paese nel 1960. Musicisti e politici congolesi esportarono poi il loro genio e le loro idee in Europa e soprattutto a Parigi (in particolare, oggi, nel quartiere di Chateau Rouge).

I Sapeurs non sono, come si potrebbe credere, un gruppo di snob della borghesia africana. Sono cittadini che fanno i lavori più umili per potersi pagare gli abiti delle grandi firme europee, attratti da uno stile di vita che sfiora la religione. Molti di loro sono pagati per partecipare a feste,  a ricevimenti e ad intrattenimenti di vario genere. Il loro stile impeccabile, dove nulla è lasciato al caso, intriso di regole rigide, affascina  e appassiona il popolo congolese. Uno stile in grande contrasto con la realtà metropolitana congolese e che Tamagni ha saputo valorizzare e rendere ancora più evidente.

L'attuale club dei sapeurs, trae le sue origini da Andrè Grenard Matsoua, attivista politico congolese, morto in carcere nel 1942, che nel 1922 fu il "primo grande sapeurs", quando rientrò dalla Francia elegantemente vestito. A lui si deve un movimento di emancipazione, l'Amicale balali, che includeva elementi religiosi legati al cristianesimo di culto millenaristico.

Gli scatti di Daniele Tamagni hanno prodotto un libro e un mostra.  

mercoledì 19 febbraio 2014

Guerre nel mondo: l'Africa oltre tutti

Stando all'aggiornatissimo e utile sito Guerre nel Mondo sono 60 i paesi del mondo ove vi sono dei conflitti in corso. Certo non tutte sono guerre vere e proprie. In alcuni casi si tratta di rivendicazioni territoriali, a volte di piccoli gruppi indipendentisti.

Foto dalla rete (RD Congo)
Inutile dire che, cinicamente, queste guerre sono una vera e propria manna per i produttori di armi, il cui fatturato è cresciuto del 60% dal 2002! E parliamo solo del mercato legale delle armi, ma tutti sappiamo che durante i conflitti, soprattutto quelli "meno classici" le armi vengono acquistate esclusivamente in modo illegale.

Vale la pena sottolineare che tra i paesi in conflitto vi sono 24 paesi africani (ovvero quasi la metà dei paesi africani indipendenti). Per molti la cosa appare del tutto naturale. L'Africa è un insieme di povertà, di arretratezza, di inciviltà e di corruzione, in cui la vita umana non vale nulla.

A pochi viene in mente che le guerre in Africa sono sempre state sostenute dalla materie prime di cui il suo sottosuolo è ricco. Quante armi si comprano con un sacchettino di diamanti che si trasporta comodamente nelle tasche? E quante con l'uranio, con il coltan, con pietre preziose, con l'avorio, con il legno pregiato o con le concessioni per l'estrazione del petrolio?
Parliamo di affari miliardari, di flussi di denaro che se indirizzati in modo diverso potrebbero alleviare le sofferenze di intere popolazioni oramai allo stremo e risolvere, forse definitivamente,il problema della fame in quelle aree del pianeta.
Foto dalla rete
Potrebbero porre fine anche alle fughe. A quella massa di disperati che fuggono dalle proprie case minacciate dalla guerra e che si ammassano nei campi profughi e che infine pressano alle frontiere del nostro mondo alla ricerca di qualcosa che, purtroppo, non troveranno.

Certo stiamo parlando di un mondo diverso. Diverso da quello che conosciamo e in cui molti di noi sono cresciuti, spesso ignari di quello che accadeva appena oltre il nostro confine ideale.

Nella Repubblica Centrafricana (vedi quest'ultimo post di Sancara), in Nigeria, in Sud Sudan (un post), in Somalia, in Mali, in Libia, in Egitto, nella Repubblica Democratica del Congo (qualcosa sul Kivu), in Darfur (un pensiero) e in Uganda, tanto per citare alcuni dei conflitti in corso, si combatte ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Di tanto in tanto le informazioni giungono, incerte e imprecise, anche da noi. Generazioni intere in guerra, migrazioni di biblica memoria, bambini a cui viene strappato il gioco, sofferenze ingiustificate che, per nostra fortuna, solo i nostri nonni hanno sperimentato.
Le organizzazioni umanitarie e i volontari si affannano per portare soccorso alle popolazioni, a volte nel modo più genuino possibile, altre volte con interessi e intrallazzi che appartengono agli uomini. Nello stesso tempo uomini d'affari senza scrupoli si aggirano nei palazzi e nei luoghi meno formali, siglando accordi per acquisti e vendite illegali.

Nonostante le guerre  non vi è stato giorno (salvo eccezioni isolate) che il gas della Libia non abbia alimentato l'Europa, che il petrolio della Nigeria non abbia raggiunto le raffinerie del Nord, che il coltan del Kivu non abbia soddisfatto le richieste della industrie elettroniche, che i diamanti della Sierra Leone non abbia raggiunto le strade di Anversa o che l'uranio della Repubblica Centrafricana non abbia fatto funzionare le centrali francesi.

Nonostante la guerra l'Africa vive. La gente sorride e ancora crede in futuro che molti non avranno mai.

lunedì 17 febbraio 2014

La semplificazione dell'odio

Le notizie, in genere poche e imprecise, che arrivano dal continente africano mettono a fuoco gli ennesimi drammi umani che da quelle parti assumono i connotati di vere e proprie catastrofi. Omicidi, mutilazioni, stupri di massa, violenze di ogni genere, fughe, esodi massicci, caos generalizzato e impotenza diffusa.

Nella Repubblica Centroafricana si vedono scene che ricordano il genocidio del 1994 in Ruanda, quando quasi un milione di persone vennero uccise, per lo più a colpi di machete, in poco più di tre mesi. Sono immagini che speravamo di non vedere mai più, sicuri che l'umanità avesse imparato la lezione. Non è stato così. In Nigeria da decenni le violenze scoppiano quasi quotidianamente e solo di rado, quando il numero dei morti diventa significativo perfino per l'Africa, varcano i confini del paese. 

Da noi le notizie giungano con schemi fissi. Guerra tra etnie diverse e lotta tra religioni. Entrambe le differenze generano massacri. Generalmente i titoli dei giornali richiamano l'attenzione sui cristiani uccisi dai mussulmani (ma avviene anche il contrario) come se in atto vi fosse il tentativo, studiato e consapevole, di una o dell'altra comunità, di prevalere sull'altra. Le testimonianze che ci giungono (vedi, ad esempio, questa intervista all'Arcivescovo di Bangui) però raccontano un'altra realtà.

Una realtà più complessa, fatta di situazioni di grande povertà (sempre a dispetto di ingenti ricchezza del sottosuolo), di assenza atavica dello Stato, di ingerenze internazionali di vario genere, di grande confusione e di assenza di progetti chiari per il futuro.
Una realtà che racconta anche di gruppi estremisti che radono al suolo i posti dove passano, spesso ignorando etnie e religioni.

Così come all'immagine di paesi in guerra, tutti contro tutti, si contrappone la drammatica situazione dei profughi (500 mila nella sola Bangui, ovvero la metà della popolazione) a testimoniare, come sempre, che è la stragrande maggioranza della popolazione (di qualsiasi etnia e religione) a pagare il carissimo prezzo della guerra.

Ancora una volta si ha la sensazione che, come avvenne in Ruanda, un piccolo gruppo di individui (in alcuni casi composto da persone che nulla hanno a che fare con il paese) è stato in grado di far diventare assassini persone comuni. I racconti dei vicini di casa a Bangui che si uccidono tra di loro, dopo aver convissuto pacificamente per decenni, sono gli stessi racconti di quanto avvenne a Kigali nel 1994. Fomentare insicurezza, odio, vendetta e paura del diverso è una caratteristica comune in tutte follie umane. Un nemico da odiare e a cui addebitare tutte le sofferenze e i mali. Così come è comune il racconto dell'assenza - nei luoghi chiave - di personale addetto alla sicurezza (polizia, esercito e truppe internazionali), anche quando gli eventi sono ampiamente prevedibili. Nella Repubblica Centrafricana le truppe internazionali sono presenti in modo massiccio (francesi, sudafricani, ugandesi, nazioni unite, comunità africana). In Ruanda il mondo restò a guardare e sembra che anche oggi le intenzioni siano le stesse.
Mentre, in Nigeria come in Repubblica Centroafricana, petrolio, diamanti e minerali continuano, come se nulla fosse successo, ad essere estratti e venduti dalle grandi multinazionali.

Sembra perfino una banalità affermare che senza una radicale trasformazione di questi paesi, di una seria lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali e di una politica capace di far ricadere sulle popolazioni parte delle grandi ricchezze, nulla è destinato a cambiare.

Certo è più comodo, e oserei dire più funzionale, raccontare che il motivo dell'odio sia un Dio o l'altro, perchè non solo ci esula dalle nostre responsabilità, ma attraverso la paura della "guerra di religione" compatta un grande fronte, anche nei nostri paesi.

Ecco un post di Sancara del 2011 sugli scontri in Nigeria
Ecco un recente post sulla situazione in Centrafrica






venerdì 14 febbraio 2014

Popoli d'Africa: Kongo

I Kongo o Bakongo sono un gruppo etnico bantu dell'Angola (area nord-ovest), del Congo e della Repubblica Democratica del Congo. Vivono lungo la costa atlantica dove sembra siano giunti a partire dal XIII secolo, dalle foci del fiume Congo, durante una delle grandi migrazioni bantu. Parlano la lingua KiKongo e sono stimati essere oggi circa 10,2 milioni di individui. La parola Kongo significa cacciatore. Essi sono anche agricoltori e ottimi lavoratori del ferro, del legno e della ceramica.

Nel XIV secolo costituirono alcuni regni (Congo e Loango, i più importanti) che si dissolsero solo nel XVIII secolo, tre secoli dopo l'arrivo dei portoghesi (i quali introdussero il cristianesimo), soprattutto per dissidi interni.
In particolare il regno Kongo (1395-1914), il cui sovrano Nzinga Mbemba si convertì al cristianesimo (sebbene pratiche legate ai riti tradizionali siano sempre state conservate) grazie all'opera di evangelizzazione dei portoghesi (che lo ribattezzarono re Alonso I), offrì anche un grande tributo in schiavi verso la rotta nel Nuovo Mondo. Secondo alcune stime, dall'area del regno Kongo partirono più di 10 milioni di schiavi alla volta delle piantagioni d'oltre oceano.
Il Regno Congo, la cui capitale fu Mbanza Kongo (ribattezzata dai portoghesi San Salvador) era diviso in 6 provincie e la sua influenza si estendeva ben oltre i suoi confini (oltre 130 mila chilometri quadrati). Era un regno molto evoluto grazie anche alla ricchezza di materie prime e alla capacità di lavorarle. L'avvento della tratta degli schiavi contribuì a sgretolare il substrato sociale su cui reggeva il reame.
Nel 1885 con la Conferenza di Berlino, il territorio dell'antico regno fu diviso tra le grandi potenze coloniali.

Il popolo Kongo (che a Luanda sono diventati abili e ricchi commercianti) diede un grande contributo alla lotta per l'indipendenza dell'Angola e del Congo (con l'organizzazione Abako) e ancora oggi rappresentano l'asse portate dei movimenti di liberazione dell'enclave di Cabinda.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

giovedì 6 febbraio 2014

Il rito mascherato Ijele

Il rito mascherato Ijele è praticato nel sud-est della Nigeria (in particolare nello stato di Anambra) dalla comunità Igbo. Alcuni sostengono che si tratta di un'evocazione di uno "spirito" che rappresenta l'intero continente africano.

Alla base del rito vi è la grande maschera, costituita da una massiccia costruzione (generalmente in bambù) che supera i 4 metri di altezza finemente decorata a rappresentare una maschera. Generalmente sono impiegati 100 persone che lavorano pe 6 mesi per costruire la maschera-struttura. Secondo alcuni si tratta del più grande, in termini di dimensioni, rito mascherato del mondo.

Di origine antica (unica certezza che nasce negli attuali territori molti secoli fa) e sotto molti aspetti ancora da studiare, oggi il rito accompagna alcuni particolari eventi come i funerali, matrimoni, riti di fertlità e le celebrazioni. AD esso sono associate danze (che coinvolgono anche giovanissimi), musiche e pratiche sociali tramandate da generazioni.



Nel 2009 il rito mascherato Ijele è stato inserito tra i patrimoni intangibili dell'umanità da parte dell'UNESCO. Esso infatti gioca un ruolo di primo piano nella comunità Igbo, sia negli aspetti spirituali che in quelli più marcatamente festosi. Contemporaneamente riafferma il ruolo centrale degli aspetti culturali e tradizionali che in esso sono contenuti.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa

lunedì 3 febbraio 2014

Turismo sessuale al femminile, in Africa

Il turismo sessuale, ovvero la pratica di recarsi in altri paesi del mondo alla ricerca di incontri sessuali, è fortemente diffuso nel nostro mondo e non lascia fuori nessuna area geografica. Generalmente si pensa a uomini non più giovanissimi che si recano in paesi esotici (e dove i costi della vita sono molto più bassi) alla ricerca di emozioni forti con donne molto più giovani. Ma non sempre è così.
Chiariamo subito una cosa. La ricerca di prestazioni sessuali a pagamento con persone maggiorenni e consenzienti, appartiene alla storia dell'umanità e, indipendentemente da questioni morali, credo religiosi e normative locali, è legale. Può piacere o no. Altra questione è l'implicazione di minori, l'uso di violenza e altro che sono gravissimi reati che non devono essere sottovalutati e  tollerati mai e che anzi devono essere fortemente colpiti in ogni angolo del pianeta. In primo luogo colpendo i clienti (di cui il nostro paese detiene un importante record).


Il turismo sessuale, però, non è solo una questione di uomini.

In  modo molto più mascherato, meno appariscente e meno pubblicizzato donne di mezzo mondo si muovono verso quelle che oramai sono le mete riconosciute di queste frequentazioni. In Centroamerica, e in particolare a Cuba, Haiti, Santo Domingo e Giamaica e in Africa, in Senegal, in Gambia, a Capo Verde, in Kenya e a Zanzibar. Ma, il fenomeno avviene anche altrove, tra cui Spagna e Croazia.

Sono donne in genere non giovanissime (45-65 anni), a volte coniugate, che si regalano qualche settimana all'anno di trasgressione e sesso. La psicologia umana è molto complessa. Per qualcuna è una consapevole trasgressione, per altre una vera e propria terapia. Qualcosa che migliora il proprio umore e che a dispetto dell'età e spesso di un fisico non perfetto, conferma la propria femminilità. Certo alcune solo consapevoli del trucco, altre no. Qualcuna la vive bene, qualcuna con i rimorsi.

Oggi si dice che è un fenomeno recente. Di recente c'è solo il fatto che. sebbene ancora poco, se ne parla.

Dal 1992 al 1994 ho vissuto in Gambia, in Africa Occidentale. Già allora era considerato "un paradiso sessuale" per donne provenienti dal nord Europa. Ricordo i primi giorni, in riva all'Oceano, sulle ampie spiagge sabbiose, mi chiedevo - ancora inconsapevole - l'origine di quelle strane coppie che al tramonto passeggiavano sulla spiaggia, mano nella mano. Donne bianche, spesso lattee, non giovanissime e con fisici certamente non invidiabili, e giovani ragazzi color ebano dal fisico possente. Ma, avevo altro a cui pensare, e non sono certo il tipo da scandalizzarsi per queste amenità.

Solo col tempo iniziai a osservare con occhi diversi. Ebbi modo di parlare con qualcuno di queste donne e con parecchi ragazzi (beach boy, sono chiamati) e poi di leggere un articolo sull'edizione inglese (da cui provenivano gran parte delle donne) di una rivista femminile (credo fosse l'edizione inglese di Marie Claire) che descriveva proprio la situazione del Gambia.

Le donne in questione viaggiavano spesso con amiche (alcune sole), qualcuna provava una certa vergogna (altre no). Alcune lasciavano a casa un marito o un compagno, molte altre no. Avevano alcune caratteristiche comuni: un'età non propriamente giovane, dei fisici appesantiti dall'età e da una scorretta alimentazione e la voglia di sentirsi donne. Ecco quest'ultima credo sia una forte connotazione delle turiste sessuali. Ricordo che una di loro mi disse che alla soglia dei 50 anni, sola e con un fisico appesantito, in Inghilterra trovare un uomo con cui fare l'amore era impossibile. Oppure bisognava "accontentarsi" di un vecchio o di uno "sfigato" (usò la parola loser, che io ho tradotto con sfigato). Alcune di loro, scoprii, ritornavano due-tre volte all'anno, da parecchi anni, alla ricerca sempre dello stesso ragazzo.
La sensazione che ho avuto è che questi ragazzi di spiaggia, giovani e prestanti, rivitalizzassero donne tendenzialmente scontente.

I ragazzi erano veramente giovani, 18-20 anni, lo facevano, è chiaro per i soldi, sebbene la declinazione era diversa dalla prostituzione femminile. Non c'era una relazione diretta prestazione-pagamento. I ragazzi stavano con la stessa persona per tutto il tempo che ella trascorreva in Gambia. Per quel tempo costituivano una coppia, che girava, pranzava, cenava, andava in spiaggia e, con un mancia negli alberghi, dormiva insieme ogni notte. Alcuni di loro venivano presi in giro da coetanei e coetanee, perchè stavano con donne "brutte e vecchie". Altri erano invidiati.

Vi erano dei risvolti però che raramente si osservano tra gli uomini clienti. In primo luogo molte donne inviavano ai ragazzi regali da casa. Scarpe da ginnastica, jeans, walkman e denaro (allora non c'erano i telefonini che credo oggi siano i degni sostituti). Alle poste centrali, che per lavoro mi capitava di frequentare molto, vi era una ressa di beach-boy di ricevevano pacchi. Mi divertivo un mondo a vedere scartare queste ricompense faticosamente conquistate.

Vi erano poi i più "fortunati" che avevano trovato chi in cambio di una esclusività del rapporto gli forniva i mezzi per vivere. Aiuti in denaro, l'acquisto di un chiosco o di un bar con il quale guadagnarsi la vita. Altri ancora erano riusciti a studiare grazie all'intervento di queste particolari supporter. Ho conosciuto un ragazzo che aveva studiato medicina in Inghilterra grazie ad una donna, sposata, che da quasi un decennio lo finanziava.

Altre storie avevano dei risvolti particolari. Non era infrequente vedere ristorantini o altre attività commerciali, gestite da coppie miste, che si erano formate a seguito di questi incontri particolari.

La sensazione che ho sempre avuto è che questa tipologia di relazioni a pagamento avessero caratteristiche e modalità così differenti, da quelle della prostituzione femminile, da renderne difficile qualsiasi paragone.

Molti sostengono che queste situazioni minano l'esistenza stessa delle società da cui provengono i ragazzi, attraverso il "cattivo esempio" e le dinamiche relative ai "soldi facili". Francamente ho sempre pensato che altri, e molto più pericolosi elementi, destabilizzano le società africane.


Sul turismo sessuale femminile sono stati girati alcuni film. Vi segnalo Verso Sud (2005) di Laurent Cantet, ambientato ad Haiti e che vede una splendida Charlotte Rampling nei panni di una cliente e il recente Paradise Love (2012) di Ulrich Seidl, ambientato in Kenya. Così come non mancano alcuni libri, sebbene più giocati sugli aspetti sessuali.