giovedì 31 gennaio 2013

Popoli d'Africa: Cunama

donna cunama, foto dalla rete
I Cunama, piccolo gruppo etnico chiamati anche Baza, sono ritenuti i più antichi abitanti, sin dall'epoca preistorica, dell'Eritrea. Oggi sono complessivamente circa 140 mila individui di cui 110 mila in Eritrea (costituiscono circa il 2% della popolazione), circa 20 mila in Sudan e altri 5 mila in Etiopia. In Eritrea essi occupano, dedicandosi soprattutto a pastorizia e agricoltura (hanno abbandonato quasi totalmente la caccia), i bassopiani sud-occidentali al confine con il Sudan, tra i fiumi Gash e Satit.
Parlano una lingua nilotica, il cunama che solo nel XIX secolo è stata resa scritta grazie al lavoro dei missionari svedesi che nel 1873 produssero la prima grammatica di questa lingua. La lingua cunama, fortemente influenzata dai linguaggi di altro ceppo vicini, ha fatto porre seri quesiti sulla sua classificazione agli etnolinguisti.
foto dalla rete
Molto di quello che si sa sui Cunama si deve al lavoro di Alberto Pollera, funzionario militare e civile dell'amministrazione coloniale italiana che soggiornò a lungo in Eritrea (dal 1894 al 1939, quando morì) studiando i comportamenti e le relazioni sociali soprattutto dei Cunama e dei Baria. Gran parte di quello che oggi si sa su questo gruppo etnico si deve al suo minuzioso lavoro di osservazione (la prima pubblicazione fu del 1913), in un gruppo in cui prevale una struttura sociale "equalitaria", dove le importanti decisioni sono prese a maggioranza dall'assemblea degli anziani (mohaber). Non vi sono quindi capi villaggi e prevale su tutto la collettivizzazione delle decisioni, con la possibilità di risolvere alcuni contenziosi affidandosi all'essemblea degli anziani del villaggio vicino. Così come esiste un grande rispetto e considerazione per il ruolo delle donne. Tra le ipotesi di Pollera vi è anche quella che fino all'anno 1000, i Cunama e i Nara (gruppo etnico che vive nella stessa area) fossero un'unica entità.
Anche l'EPLF (Fronte Popolare per la Liberazione dell'Eritrea), neglia nni '80 (precisamente dal 1982 al 1989) studiò i comportamenti e le abitudini dei popoli eritrei, sebbene queste pubblicazioni pare siano disponibili solo in lingua tigrina.
Alla fine dell'800 (nel 1886 per la precisione), questo popolo fu soggetto ad un vero e proprio sterminio, quando l'allora sovrano del Tigray, Ras Alula, fece sterminare un terzo della popolazione Cunama perchè non voleva sottoporsi al dominio del sovrano. Da allora i Cunama accrebbero il loro isolamento.

Da un punto di vista religioso tradizionalmente i Cunama credono in un unico dio, chiamato Anna, creatore del cielo e della terra, che si disinteressa quasi totalmente della sorta degli uomini. Le tradizioni lentamente stanno lasciando il posto all'islam e soprattutto al cristianesimo.
Sono abililissimi danzatori. La danza è un modo per rievocare e custodire la loro storia.

Recentemente, durante la guerra tra Etiopia e Eritrea del 1998-2000, i Cunama si sono trovati, involontariamente, al centro della disputa di confine, e sono stati costretti a lasciare i loro villaggi. All'epoca, migliaia di loro, furono assistiti come profughi dagli organismi internazionali.

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mercoledì 30 gennaio 2013

Timbuctu: crimine, non religione

la grande moschea di Timbuctu, foto dalla rete
La guerra in Mali si combatte, sul serio. Sul serio significa che si spara, vi sono morti e feriti, distruzioni e terrore. In queste ore è la città di Timbuctu, nel nord del Mali (in realtà nel centro, perchè il vero nord è deserto), a far parlare di se. Non certamente per le sue opere architettoniche (riconosciute patrimonio dell'umanità dall'Unesco), nemmeno per quell'alone di mistero che per secoli ha accompagnato questa città che alcuni non ritenevano nemmeno esistere, bensì per la follia di un gruppo di estremisti che hanno pensato bene, prima di lasciare, sconfitti, la città di bruciare una biblioteca che conteneva antichi e preziosi manoscritti. 
Naturalmente la religione non c'entra nulla. Affermare che queste distruzioni derivano da chissà quali prececetti religiosi, equivale ad offendere non solo l'islam, ma perfino chi legge.
rogo al Centro Ahmed Baba, foto dalla rete
Tra le tante bellezze, nella città di Timbuctu, erano e sono ancora conservati manoscritti (non solo religiosi) risalenti perfino al XIII secolo. Molti dei manoscritti (si parla di oltre 700 mila pezzi) sono custoditi da famiglie facoltose che negli anni hanno conservato e tutelato questi patrimoni della cultura e della storia. Quelli bruciati nel Centro di Documentazione Ahmed Baba (nell'edificio inaugurato nel gennaio 2009) erano - paradossalemente - quelli donati alla collettività e resi consultabili anche grazie ad un grande progetto finanziato e messo in opera dal Sudafrica.  

La questione è complessa (vedi post). Sin dal giugno 2012, quando le milizie "islamiche" avevano occupato Timbuctu, si erano contraddistinte per l'assurda follia di distruggere tombe e moschee, ritenuti Patrimonio dell'Umanità. Le organizzazioni internazionali erano intervenute minacciando ritorsioni e interventi armati. Sono passati oltre 6 mesi, e l'intervento armato - francese - vi è stato. In questo tempo, le organizzazioni dei tuareg, che da decenni lottano per l'autonomia dell'Azawad avevano stretto malsane alleanze con le milizie estremiste (molte giunte dalla Libia assieme alle armi), armate e determinate.
Dopo gli incendi, oggi si assiste ai saccheggi contro i commercianti arabi colpevoli di aver collaborato con gli estremisti. Il rischio di aver innescato nuove tensioni e conflitti, è alto.

Quello che avviene in Mali, da qualsiasi angolo si guarda è l'ennesima conferma del fallimento delle politiche internazionali (nel Mali soprattutto quelle francesi) che hanno consegnato nelle mani degli estremisti le ale più moderate e laiche dei movimenti autonomisti e indipendentisti. I tuareg del nord, nel Mali come altrove, sono stati per decenni emarginati e repressi. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti.

Resta il fatto, che deve essere sancito senza incertezze e timori, che i criminali culturali vanno isolati e perseguiti senza indugi dalla Corte Internazionale di Giustizia, smontandone qualsivoglia giustificazione di tipo politico e religioso. Chi distrugge il patrimonio artistico, religioso e culturale non può che essere catalogato tra coloro i quali compiono crimini contro l'umanità e per tali ragioni debbono essere giudicati.

Aggiornamento  31.1.2013: dopo aver scritto questo post, le agenzie di stampa hanno battutto la notizia che "solo" il 5% dei manoscritti del Centro Ahmed Baba erano stati danneggiati, perchè preventivamente portati altrove. Tiriamo un sospiro di sollievo, sebbene l'analisi e le riflessioni non si spostano di una virgola.

sabato 26 gennaio 2013

Parco Nazionale Odzala

foto dalla rete
Il Parco Nazionale Odzala è sito nel nord-ovest del Congo ed è esteso su di un'area di 13.600 chilometri quadrati, nel cuore dell'enorme area di foresta tropicale sul bacino del fiume Congo. Costituito nel 1935 in epoca coloniale francese, è stato poi esteso nel 2001. Oggi costituisce il miglior habitat dell'Africa Centrale per gli elefanti e per i gorilla occidentali (sebbene questi ultimi decimati da una recente - 2010 - epidemia di Ebola). Nel 1977 il parco è diventato Riserva della Biosfera protetto dall'UNESCO, mentre dal 2008 è candidato a diventare Patrimonio dell'Umanità.
La Riserva ha una grande biodiversità, rappresentata da una molteplicità di habitat che vanno da foresta primaria, all'altopiano ondulato, alla savana, alla foresta pluviale fino al bacino fluviale del Mambili. Nel parco di conseguenza vivono una grande varietà di specie animali e vegetali. Oltre 4400 piante censite, 114 mammiferi (di cui 16 specie di primati), oltre 400 specie di uccelli ed un incredibile numero di farfalle. Oltre agli elefanti e ai gorilla, è possibile osservare grandi quantità di antilopi (tra cui la sitatunga), bufali, iene, scimpanzè e ippopotami.

Come tutte le riserve della biosfera, nel parco oltre a svolgersi attività di ricerca e di eco-turismo, vi sono degli abitanti permanenti. Gli ultimi dati parlano di circa 60 mila persone, distribuite in oltre 70 villaggi posti alla periferie dei confini del parco. Gli abitanti sono principalmente di etnia Mbako, Bakote e Mongombo.
I maggiori pericoli per il parco non provengono però dalle economie di sussistenza dei suoi abitanti (che cacciano, coltivano e raccolgono legna), ma dai bracconieri (i 16-18 mila elefanti fanno molto gola ai commercianti illegali di avorio) e dalla deforestazione selvaggia per accaparrarsi i pregiati legni.

Dal novembre 2010, il governo del Congo ha stretto una convenzione, della durata di 25 anni, con l'African Parks Networks, a cui ha affidato il managment del parco. Nel 2011 è stata costituita una fondazione, la Odzala-Kokoua Foundation che ha lo scopo di gestire questo straordinario polmone del pianeta.
foto dalla rete

Nell'area vi sono due stagioni delle piogge (marzo-maggio e settembre-dicembre), che rendono, soprattutto nei mesi si maggio e novembre il parco praticamente impraticabile per il turismo (le strutture ricettive chiudono). Mesi ideali per la visita sono dunque gennaio e febbraio e il periodo giugno-agosto.
Nel parco vi sono attrezzatissimi camp dove alloggiare e da cui partire per le visite.

Un sito dedicato alla conservazione del  Parco Odzala
La pagina su Odzala dal sito African Parks
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venerdì 25 gennaio 2013

N'goni, l'antenato del banjo

Lo N'goni (anche Ngoni, va bene) è uno strumento a corde (generalmente da 3 a 5), tipico dell'Africa Occidentale, da molti considerato l'antenato del banjo.
Assieme al balafon e alla kora è parte di una triade di strumenti che appartegono alla tradizione dei griot, i cantastorie, musici e custodi della tradizione orale principalmente di etnia mandinka. Spesso viene usato il termine, improprio, di "liuto dei griot".
Bassekou Kouyate, foto dalla rete
La cassa di risonanza è tradizionalmente o di legno incavato o di una zucca svuotata, su cui è tesa una pelle di animale (generalmente capra). Dalla cassa è incastonato un manico (tra i 50 e 60 centimetri) alla cui estremità sono tese le corde (di origine animale).
I nomi (bamangoni, ganbarè o njarkat) e l'utilizzo (pizzicato o arpeggiato) dello strumento variano tra un gruppo etnico ed un'altro dell'Africa occidentale (si trova in un'area che va dal sud del Marocco alla Nigeria), così come variano le leggende che raccontano della sua nascita. Tra tutte, in Burkina Faso, si associa lo Ngoni ad un cacciatore Senufo di nome Suliman al quale durante il sogno gli furono rivelate le tecniche di costruzione di questo strumento musicale, motivo per cui ancora oggi l'uso dello Ngoni è associato alla caccia (in questo caso assume il nome di Donso Ngoni, dove donso significa caccia).

E' stata anche avanzata una tesi per cui lo ngoni sarebbe un precursore del banjo - strumento nato nel continente americano all'inizio del 1700 - a seguito della tratta atlantica degli schiavi.


In Mali lo ngoni rappresenta un vero e proprio strumento di identità culturale e storica. Tra i suonatori di ngoni vale la pena sottolineare i nomi di Banzumana Sissoko,  Bassakou Kouyate, Baba Sissoko e Moriba Keita, tutti provenienti dal Mali.
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giovedì 24 gennaio 2013

Ranzie Mensah, la principessa dal Ghana

Ranzie Mensah è una musicista del Ghana, di etnia Fante, che dal 1990 si è trasferita in Italia (Valle d'Aosta), che è letteralmente cresciuta tra le note. Il padre infatti era un etnomusicista, docente e ricercatore di musica, mentre la madre una cantante.Con la famiglia ha vissuto in California, Londra, Zambia e Uganda, ggrazie agli spostamenti di lavoro del padre.


La sua carriera, iniziata da giovanissima negli anni '80 ad Abidjan,  ha avuto un rapido sviluppo grazie ad una voce straordinaria, prima con concerti in Africa, poi in Europa ed in Italia (memorabile quello con Miriam Makeba a Torino con oltre 20 mila persone). Dopo che nel 1995 Ranzie canta al Summit Mondiale dei Capi di Stato a Copenhagen diventa una vera e propria star ed è chiamata in ogni occasione a portare, con la sua voce, un messaggio di pace e di speranza per il continente africano e per i suoi popoli. In Italia oltre ai concerti dal vivo vanta molte apparizioni in televisione e in radio oltre ad un'intensa attività nelle scuole a favore di una nuova cultura di incontro e di conoscenza tra i popoli. Quella intercultura che lei, con passione, intelligenza e poesia  definisce in questo modo, annunciando la sua volontà di contribuire con tutte le sue forze alla sua realizzazione:
"Da quando esiste il pianeta terra con i suoi abitanti, la multicultura è sempre esistita ma da quando il mondo è diventato un villaggio globale ci siamo trovati davanti alla sfida d’imparare a vivere a volte, malgrado noi stessi, con un intreccio di culture.
Ho deciso di dedicare la mia vita a questo, di utilizzare ogni mio talento, ogni mia capacità a partecipare nella costruzione di un mondo interculturale perché questa è una mia convinzione, un mio ideale, una mia ragione di vita.

Ognuno di noi sta scrivendo il futuro con le proprie azioni.
Vorrei scrivere qualcosa raccontando una fiaba a un bambino.
Vorrei scrivere delle note di una melodia sul cuore di una bambina.
Vorrei scrivere il mio amore per tutti i bambini della terra."






Artista straordinaria che ha collaborato con artisti di fama internazionale, capace di rimanere, a detta di chi l'ha incontrata, umile e spontanea, ma allo stesso tempo sicura e determinata nel proseguire la sua missione verso il mondo. Dal palco trasmette un'energia straordinaria che rapisce il pubblico rendendolo partecipe del suo grande progetto. Voce gospel capace di spaziare in più tonalità. Oggi alla soglia dei cinquanta anni è un'artista matura ed affermata, che continua a mettere a disposizione la propria arte per un mondo migliore.
Tra le tante sue attività, oltre ad essere stata mediatrice culturale, ha anche curato la traduzione di una biografia su Miriam Makeba e continua scrivere storie per bambini, in parte recuperando le tradizioni del suo popolo e dell'Africa occidentale in genere.

Su questa artista vi è anche un blog dedicato da un suo fan (Francois Souyri), How is doing Ranzie Mensah?, con vecchi filmati, foto e canzoni.



Ecco il sito ufficiale di Ranzie Mensah

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mercoledì 23 gennaio 2013

Si gioca la 29° Coppa d'Africa

E' iniziata lo scorso 19 gennaio, per concludersi il 10 febbraio, la 29° Coppa delle Nazioni Africane (meglio nota come Coppa d'Africa). In Sudafrica si deciderà chi sarà il successore dello Zambia che lo scorso anno in Guinea Equatoriale e Gabon vinse, a sorpresa, l'ambizioso titolo.
E' una Coppa particolare questa del 2013 perchè si svolge solo un anno dopo la precedente edizione - contrariamente alla usuale cadenza biennale - per permettere lo slittamento negli anni dispari. Inoltre, la Coppa doveva essere ospitata dalla Libia, ma, a seguito della guerra civile, fu deciso lo spostamento in Sudafrica, che solo nel 2010 aveva ospitato i Mondiali, ed era già pronta per il torneo. La Libia dovrebbe ospitare l'edizione 2017, mentre nel 2015 toccherà al Marocco
tifosi alla Coppa d'Africa, foto dalla rete
Delle 46 nazioni partecipanti alla fase di qualificazione, 16 di esse si affronteranno in 4 gironi. Tra i paesi che si sono qualificati mancano due delle nazioni più titolate del torneo: l'Egitto, che ha vinto la Coppa 7 volte e il Camerun che l'ha vinta (assieme al Ghana) 4 volte. Due volte l'hanno vinta la RD del Congo e la Nigeria.
Si è inoltre qualificata per la prima volta nella sua storia Capo Verde, mentre ritorna, dopo 30 anni, (fu presente l'ultima volta nel 1982), l'Etiopia.
Oramai sono molti i calciatori africani che giocano in squadre straniere (soprattutto europee). La nazionale del Burkina Faso ha tutti i 23 convocati che giocano in campionati stranieri, mentre Mali e Capo Verde hanno solo due dei loro rispettivi portieri che giocano in campionati dei loro paesi. Di contro, l'Etiopia con solo 3 giocatori militanti in campionati stranieri è la squadra più radicata sul suo territorio, seguita dal Sudafrica con 6 solo "stranieri".
Nutrita anche la pattuglia di calciatori africani che giocano in Italia a partire dallo juventino Asamoah (Ghana) che ha segnato all'esordio, ai milanisti Muntari (Ghana) e Traorè (Mali), agli udinesi Badu (Ghana), anch'egli al goal nell'esordio, e Benatia (Marocco), al fiorentino El Hamdaoui (Marocco), al laziale Onazi (Nigeria), per finire con il novarese Alhassan (Ghana) e il ternano Dianda (Burkina Faso).

Per ora si è giocato solo il primo turno che ha delineato un forte equilibrio (5 pareggi su 8 gare). Con il secondo turno, in programma da oggi, la Coppa entra nel vivo.

Il calcio resta lo sport più popolare in terra d'Africa.

venerdì 18 gennaio 2013

Il Mali, e il Nord Africa, che esplodono.

Solo due anni fa, il mondo fu trovato impreparato da quella che poi è stata definita la Primavera Araba. Giovani e donne in particolare, a partire dalla Tunisia, misero in ginocchio vecchi e corrotti regimi, alleati dell'Europa e non solo, e decretarono la fine di un sistema che aveva retto per oltre 30 anni. Assieme a loro ripresero forza gruppi ben organizzati, di matrice islamica, che per anni erano stati tenuti a bada, spesso con la forza, nella logica di un patto scellerato tra governanti e potenze straniere. In cambio della repressione e del contenimento di tutto ciò che aveva a che fare con l'islam (il cattivo, ma anche il buono) si garantiva la sopravvivenza di regimi che delapidavano i patrimoni derivanti dalle risorse (petrolio, gas, minerali) affamando la maggioranza della popolazione.
Questa apparente calma, che in realtà era la chiusura di un coperchio su di una pentola a pressione in ebollizione, esplode ora con tutte le sue pericolose contraddizioni.

I gruppi islamici - anche quelli estremisti - sono stati usati nel passato, come lo sono ancora oggi, all'occorrenza. Armati fino ai denti, quando dovevano destituire (e uccidere) lo scomodo Gheddafi o appoggiati quando ancora oggi lottano in prima fila contro il regime di Assad in Siria. Insomma, le geometrie delle alleanze, quelle scomode, sono variabili e, quasi mai, rispecchiano i canoni e le politiche che alla luce del sole si professano nei palazzi dei governi. Osama bin Laden fu usato contro i sovietici e non solo, prima di diventare il nemico giurato.

Quello che succederà nel futuro è difficile da pronosticare. Dalle macerie della guerra di Libia, oggi si raccolgono solo veleni. Finita la fase militare (che ha lasciato sul campo armi di tutti i tipi e ha fatto riversare in Mali e in Algeria i gruppi filo-Gheddafi sconfitti, ma anche dei vincitori oggi non graditi in Libia) è mancata, e manca tutt'oggi, quella politica. Raggiunto lo scopo della riapertura dei gasdotti (e della fine dello sterminio della popolazione civile), vitali per l'Europa, l'impegno è venuto meno.
In Mali si è aspettato quasi un anno, dalla fine della guerra della Libia e dal successivo colpo di stato a Bamako, per decidere di fare qualcosa. Si è aspettato che i vari gruppi si organizzassero e stringessero alleanze malsane. 
Il territorio dell'Azawad, il nord del Mali, è conteso da decenni, ed ha sempre rappresentato "uno stato nello stato" o meglio la periferia dell'impero. E' dal 6 aprile 2012 che l'Azawad ha proclamato unilateralmente l'indipendenza.
Da anni infatti il Movimento di Liberazione dell'Azawad (MNLA), composto soprattutto da tuareg di tendenza laica o moderata nato nel 1990, lotta per l'indipendenza (per la cronaca nel 2006 nell'area è stato scoperto il petrolio). L'isolamento e la miopia politica, non solo dei francesi (da sempre veri "padroni" dell'area), hanno portato l'MNLA ad allearsi con i gruppi islamici (più potenti militarmente e organizzativamente) con obiettivi che solo parzialmente convergevano e che già oggi sono diversi. L'MNLA ha tra i sui programmi la lotta all'estremismo islamico.
Con l'iniziativa militare francese nel nord del Mali (almeno si poteva coinvolgere qualche africano!), ufficialmente contro il terrorismo, si colpiscono anche, e soprattutto, i gruppi indipendentisti spingendoli nuovamente, e pericolosamente nelle braccia dei jihadisti.
Il primo risultato dell'attacco armato è stato la ritorsione in territorio algerino (l'Algeria è ritenuta colpevole di aver concesso lo spazio aereo alla Francia) con l'attacco agli impianti petroliferi ai confini con la Libia, che ha già causato oltre 40 morti.

La sensazione è che dietro alla lotta al terrorismo, che oramai da anni è diventata l'etichetta da attaccare per giustificare qualsiasi azione militare nel mondo, si nascondano strategie e obiettivi, meno nobili e più legati ad interessi strategici ed economici. Tali motivazioni renderebbero più comprensibili (non giustificabili) alcune scelte del passato e del presente, che altrimenti risulterebbero dei gravissimi e banali errori di strategia che poco si adattano a paesi che avrebbero il compito di guidare il mondo.

Infine, vale la pena ricordare, senza distrarre troppo dalle questioni militari, tanto care ai quotidiani del mondo intero, che nei luoghi in cui oggi i militari francesi combattono, il Sahel, è in corso una delle più gravi carestie della storia, dove oltre 18 milioni di persone (di cui un milione di bambini) rischiano di non arrivare a fine anno (Sancara ne ha parlato anche recentemente a supporto della campagna "La carestia non è una dieta" promossa dalla LVIA).

mercoledì 16 gennaio 2013

La carestia non è una dieta. La LVIA in aiuto del Sahel


E' partita la campagna della LVIA (Associazione di Solidarietà e Cooperazione Internazionale), organizzazione non governativa nata nel 1966, a favore delle popolazioni del Sahel colpite da una gravissima carestia. Con lo slogan "La carestia non è una dieta" l'associazione, che opera nell'area fin dal 1972, oltre a raccogliere fondi necessari e vitali per sostenere le cure per la malnutrizione in Burkina Faso, vuole contribuire a riportare l'attenzione su di un dramma che, nel quasi assoluto silenzio, colpisce oltre 18 milioni di persone.

Sancara aveva parlato della crisi del Sahel la prima volta nel febbraio 2012, con un post titolato "La crisi alimentare del Sahel" e successivamente nell'aprile 2012 con un'altro post intitolato "Nel Sahel si muore". Nei post si era cercato anche di analizzare le cause che conducono, sempre con maggiore frequenza e gravità, l'area del Sahel ad essere oggetto di devastanti "diete", tanto per parafrasare lo slogan della LVIA.

Naturalmente se è vero che sulle cause naturali nulla (o meglio poco) si può fare, è altrettanto evidente che alcuni fattori economici e antropici, oltre che alcune scelte del passato, incidono negativamente sulla situazione e su di essi è possibile intervenire.

Foto della LVIA
E' chiaro che oggi parliamo di emergenza, e la terapia necessaria è quella che le organizzazioni, serie e preparate, come la LVIA stanno mettendo in campo. Capaci da un lato di sfamare la popolazione (soprattutto le fasce più a rischio come i bambini - oltre un milione a rischio di vita) e dall'altro iniziare una nuova campagna agricola in luoghi dove l'agricoltura equivale alla sussistenza.

Dobbiamo oggi aiutare le popolazioni, ma allo stesso tempo abbiamo il dovere di mantenere viva l'attenzione sulle scelte che si faranno per il futuro affinché situazioni drammatiche come queste non si ripetano mai più.

Nel sito della LVIA si possono trovare tutte le informazioni relative alla campagna e l'aggiornamento quotidiano sull'ammontare dei fondi raccolti, sicuri che ogni euro donato sarà speso ad esclusivo beneficio di chi oggi ha un urgente bisogno.

Vai al sito ufficiale della LVIA

lunedì 14 gennaio 2013

Ippopotamo pigmeo, un piccolo in pericolo

foto dalla rete
L'ippopotamo pigmeo (Hexaprotodon liberiensis) è una delle due specie ancora esistenti di ippopotami (l'altra è quella dell'ippopotamo vero e proprio). Gli ippopotami, che un tempo (2-3 milioni di anni fa) vivevano anche in Asia ed Europa, sono oggi presenti solo nel continente africano. L'ippopotamo pigmeo, così chiamato per la sua stazza (raggiunge massimo gli 80 centimetri e pesa intorno ai 250 chilogrammi, dove l'ippopotamo vero e proprio può raggiungere il metro e 50 e pesare fino a 3 tonnellate), si differenzia anche per il suo habitat che è prevalentemente terricolo (mentre il suo grande fratello passa gran parte del tempo in acqua, da cui il nome "cavallo di fiume"). In definitiva si tratta di un ippopotamo in miniatura che fu descritto la prima vola nel 1844 da Morton e di cui ancora oggi non si conosce tutto (vive essenzialmente di notte).
l'habitat dell'ippopotamo pigmeo
Gli ultimi conteggi (stime risalenti agli inizi degli anni '90) hanno fanno ammontare a circa 3000 gli esemplari totali ancora liberi. Essi sono distribuiti in 4 paesi dell'Africa occidentale (che è sempre stato l'habitat naturale, e storico, di questo animale), ovvero, in ordine di presenze, in Sierra Leone, Guinea, Costa d'Avorio e Liberia. La sottospecie Hexaproton liberiensis heslopi era presente in Nigeria (nel Delta del Niger), ma oggi non risulta più esserci. L'IUCN (il massimo organismo mondiale che si occupa di conservazione animale) aveva inserito l'ippopotamo pigmeo nel 1986 nella lista rossa, classificandolo come vulnerabile (VU), al peggiorare della situazione, nel 2003, è stato classificato come a rischio estinzione (EN).

I motivi della riduzione del numero di ippopotami pigmei risiedono tutti nell'uomo. Da una parte la caccia e dall'altra la massiccia deforestazione, hanno ridotto (e continuano a farlo) l'habitaf naturale di questo ippopotamo in miniatura. Al tal fine l'ippopotamo pigmeo è stato inserito nell'Appendice 2 della convenzione internazionale CITES, che ne limita la caccia e il commercio.

Infine erano 303 gli ippopotami pigmei che vivevano in oltre 130 zoo (tra cui il bioparco di Roma)nel 2004 (con un raddoppio della popolazione rispetto al 1970).

Tra i parchi dell'Africa Occidentale dove è possibile vedere questi animali e di cui Sancara ha pubblicato un post, vi segnalo la Riserva dei Monti Nimba in Guinea.

Vai alla scheda nella lista rossa dell'IUCN
 La pagina di Arkive con le foto su questo ippopotamo

Vai alla pagina di Sancara sugli Animali d'Africa

venerdì 11 gennaio 2013

Cinema: Moolaadè

Moolaadè è un film del 2004 (uscito però in Italia l'8 marzo 2006) ed è l'ultimo film diretto e prodotto dal senegalese Ousmane Sembene, ultraottantenne durante le riprese, prima della sua morte avvenuta nel 2007.
E' un film coraggioso e di denuncia. Coraggioso perchè rompe uno schema classico che vuole il rispetto delle tradizioni sopra ogni cosa, anche a rischio di sfidare e allontanare le cose, buone, che la modernità porta con se. Di denuncia, anch'essa coraggiosa, perchè prende una posizione chiara ed inequivocabile a favore delle donne africane e contro le orrende pratiche della mutilazione genitale femminile.
Sembene lo fa nel suo modo. Un film girato in un villaggio del Burkina Faso (Djerisso) a ritmi lenti, parlato in bambara (con sottotitoli in francese nella versione originale) e scandito dalle musiche del maestro Boncana Maiga.
La storia è forte e drammatica. Ruota attorno alla figura di una donna, Collè Gallo Ardo (interpretata dall'attrice Fatoumata Couliboly), che ingaggia una lotta a difesa di quattro bambine che si erano rifiutate di farsi "tagliare" (escissione del clitoride). Collè, che già si era rifiutata di far tagliare la figlia (dopo che due altre delle sue figlie erano morte a seguito della stessa pratica), decide di concedere asilo (moolaadè, protezione) nel suo compound alle bambine (cosa ritenuta, per cultura, inviolabile), contro la volontà delle stesse mamme e degli uomini del villaggio. La storia scorre apparentemente senza soluzioni, fino al punto in cui due omicidi sconvolgono tutti. Il primo è quello di una delle quattro bambine, che rapita dalla madre, muore dopo essersi opposta, vanamente, con tutte le sue forze all'escissione, il secondo è quello di un personaggio, chiamato il Mercenario, uomo rientrato al villaggio dopo aver vissuto in Europa, che viene assassinato la notte stessa in cui ha fermato la mano del marito di Collè mentre la frustava per punirla della sua indisciplina.

Solo quando Collè, apparentemente sconfitta, rinuncia al  moolaadè, le donne del villaggio assumono una posizione chiara e comune, costringendo le salindane (donne che praticano l'escissione) a restituire i loro affilati coltelli. Di fronte poi degli uomini del villaggio si compie l'ultimo gesto di coraggio, quando il figlio del capo villaggio rifiuta il potere del padre e decide di sposare Amsatou, la figlia di Collè, anche se bilakoro (non tagliata, non purificata) e pronuncia la frase forse più incisiva del film, ovvero "per fare un uomo non basta avere i pantaloni".

Il film rappresenta senz'altro la vittoria delle donne contro questa terribile pratica (vi rimando per tutte le informazioni a questo vecchio post di Sancara, Mutilazioni genitali femminili, uno stupro silenzioso) che lede la dignità delle donne. Il film è divenuto subito uno strumento utilizzato nei programmi di prevenzione alle mutilazioni genitali,anche in Italia. Ma le chiavi di lettura possono essere molteplici. Sembene, da maestro del cinema qual'era, gioca sul piano del conflitto, sempre esistente, tra tradizione e modernità (il film si chiude con le immagini di un'antenna televisiva sulla moschea). Il rogo delle radio (gli uomini decidono di bruciare tutte le radio del villaggio perchè, a loro avviso, sono le parole che da esse provengono ad aver istigato la ribellione di Collè), che rimanda alla mente altri roghi frutto dell'oscurantismo, simboleggia l'ennesimo e vano tentativo di bloccare il tempo.

La moschea del film , dalla rete
Nel film è possibile anche vedere uno straordinario documentario sulla vita quotidiana africana, dove le donne svolgono un ruolo fondamentale. Un film da vedere, capace di indignare e di far sorridere, dove la sofferenza e il dolore sono non vengono mostrati con ostinazione, ma lasciati sul piano dell'immaginazione dello spettatore. Un film girato con grande arte, come solo uno straordinario maestro del cinema come Sembene poteva regalarci.

Vai alla pagina di Sancara sul Cinema sull'Africa

giovedì 10 gennaio 2013

AMREF (1957)

il logo dell'Amref
L'African Medical and Research Foundation (AMREF) è un'organizzazione non governativa fondata a Nairobi, in Kenya, nel 1957 da tre medici chirurghi, il britannico Michael Wood, il neozelandese Archibald McIndoe e l'americano Tom Rees, i primi due residenti nel paese. La conoscenza diretta delle problematiche sanitarie relative all'Africa Orientale portano alla nascita dell'AMREF (tra le prime ONG nate in terra d'Africa) ed in particolare al servizio del Flying Doctors, ovvero l'idea di portare direttamente sul posto e tramite un mezzo veloce, come l'aereo, lo staff medico.
La conoscenze delle aree rurali (e delle difficoltà di comunicazione) resero possibili questa scelta che, accompagnata da un capillare lavoro di prevenzione ed educazione con le comunità locali, si è rivelata nel tempo molto importante e fondamentale per una vasta area. Oggi AMREF è l'organizzazione più grande operante in Africa Orientale, impega oltre 800 persone ed è presente in particolare in 7 paesi, con 140 progetti. Stando al rapporto finanziario di AMREF, il budget complessivo si aggira attorno ai 70 milioni di dollari, frutto delle campagne di fund raising in molte aree del pianeta.
dal sito AMREF
I programmi e gli interventi specifici di AMREF si trovano, con ogni dettaglio, nel loro sito.
Quello che invece caratterizza il loro lavoro è appunto l'esperienza dei Flying Doctors.
Sin dai primi anni dell'esperienza, vi fu una grande collaborazione delle comunità locali, che intuendo la necessità di un tale servizio si spesero per allestire, soprattutto in località remote, piste per consentire l'atterraggio dei piccoli aerei. Nel tempo, con l'esperienza e l'ausilio delle nuove tecnologie (soprattutto nel campo delle comunicazioni), Flying Doctors è diventata una realtà operativa 24 ore su 24, capace di intervenire con grande rapidità e di evacuare in centri specializzati (europei, medio orientali e asiatici) pazienti con gravi patologie che non possono essere trattati in loco.
Oggi la flotta area di AMREF si avvale di 3 aerei Cessna (di varie tipologie e grandezza), di due Beechcraft Super King e di un elicottero. Tutti gli aeromobili sono equipaggiati come ambulanze con ogni moderna tecnologia per il trasporto di malati gravi.

La sede italiana di AMREF è stata fondata nel 1998 (dal 2007 fa parte delle rete AGIRE, l'Agenzia Italiana per la risposta alle emergenze), e, stando ai bilanci, ha raccolto nel solo 2011 8 milioni di euro in donazioni private.
AMREF è stata conosciuta in Italia grazie ad un testimonial come il comico napoletano, Giobbe Covatta, che ha saputo con ironia, passione ed intelligenza sposare le cause dell'organizzazione (Sancara ha parlato del suo film sull'Africa, Muzungu - L'uomo bianco).

Vai al sito di AMREF International
Vai al sito di AMREF Italia

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mercoledì 9 gennaio 2013

Riserva naturale di Vallee de Mai

foto dalla rete
La Riserva Naturale di Vallee de Mai è un parco naturale di quasi 20 ettari, caratterizzato da una fitta foresta di palme (oltre 7000 mila piante, di sei specie diverse, di cui una che cresce solo nel parco), situato nell'isola Praslin (la seconda più grande dell'arcipelago) nelle Seychelles. Dal 1983 è divenuta Patrimonio dell'Umanità tutelato dall' UNESCO.
Già area potetta a partire dagli anni '30, che nel 1948 fu acquistata dal governo per farne raccolta delle acque, nel 1966 diventò riserva naturale (sotto la tutela della protezione uccelli), nel 1979 si costituì il Parco Nazionale di Praslin, circa 300 ettari di area protetta, di cui la Vallee de Mai rappresenta una piccola parte. Al suo interno oltre alle palme tra cui appunto la rara Lodoicea maldivica, il Cocco di Mare (con la caratteristica forma del suo frutto), vivono una serie di uccelli e rettili di straordinaria bellezza e rarità, tra cui il Pappagallo Nero e il Camaleonte Tigre.
frutto del Coco de mer
Qualcuno nel passato ha definito questa area come "la copia del giardino dell'Eden" per sottolineare la bellezza di questo museo vivente, inoltre la formazione geologica dell'isola fanno risalire la foresta ad epoca preistorica.

Il frutto (noce) del Coco de mer, assieme al Pappagallo Nero, rappresentano un simbolo delle Seychelles, utilizzato in francobolli e monete. Nella riserva la pianta di cocco più vecchia è fatta risalire a circa 200 anni e che raggiunge i 37 metri di altezza.

La riserva è gestita, fin dal 1989, dalla Seychelles Islands Foundation. E' visitabile durante il giorno con un ingresso a pagamento e solo attraverso appositi sentieri.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

martedì 8 gennaio 2013

Canto polifonico dei pigmei Aka

dal sito UNESCO
I pigmei Aka, sono un gruppo semi-nomade, strettamente correlato con i Baka, che vive nelle foreste della Repubblica Centrafricana.
I pigmei Aka - considerati uno dei popoli più antichi dell'area - sono conosciuti per il loro canto polifonico, altamente elaborato, che appartiene alla tradizione di questo popolo, che ancora oggi vive nelle fitte foreste tropicali. Come per molti popoli africani il canto, la musica e la danza, appartengono alla loro storia ed accompagnano ogni giorno il semplice trascorrere della vita. Nel caso dei pigmei Aka, il canto è parte integrante di un sistema che comprende il ciclo della vita, la caccia e i riti di iniziazione. Si canta e si suona in occasione di un matrimonio o di un funerale o quando si costruisce un nuovo villaggio o ci si appresta ad una battuta di caccia.
Il canto dei pigmei Aka è intimamente correlato con la struttura organizzativa della società Aka (su questo è stato importante il lavoro dell'antropologo e musicista irlandese John Blacking), che si compone di piccoli gruppi (massimo 30-40 individui) che sono legati ad un'unica famiglia e che non riconoscono nessuna gerarchia se non quella del "capo famiglia" anziano.
Nel 2008 (di fatto sancito nel 2003) il canto è stato iscritto tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dell'UNESCO per la sua straordinaria unicità e complessità. Oggi vi è una grande attenzione sulla ricerca e sulla raccolta di documentazioni relativa al canto polifonico, così come si tenta in tutti i modi di far sopravvivere questa straordinaria capacità del popolo Aka, pur a fronte del fatto che è la stessa esistenza del popolo Aka ad essere in discussione.



Il canto si svolge accompagnato da alcuni semplici strumenti della tradizione (non dimentichiamo che si tratta di un popolo che si sposta) come i tamburi (enzeko), delle semplici arpe curve (geedale-bogongo) o degli archi a una corda (mbela). Le danze sono di varie tipologie, alcune ballate dai soli uomini, altre da coppie e altre ancora solo dalle donne. Il ritmo è scandito anche dal battere delle mani. I bambini vengono, fin da molto piccoli, coinvolti nei canti e nelle danze.

A studiare e a far conoscere il canto polifonico fu l'etnomusicista francese Simha Arom, sicuramente il massimo esperto di questa musica, che ha avuto il  merito di diffondere questo canto raccogliendo alcune incisioni in loco e di portare in una tournèe in Europa un gruppo di pigmei Aka (furono in Italia, a Torino, per la prima volta nel 1997).

Vai all pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa

Sul sito di Luis Devin (ricercatore e autore del libro La foresta di ha), Pigmei.it, è possibile trovare molte informazioni sugli Aka, sul canto e sugli strumenti, oltre che numerose immagini.

lunedì 7 gennaio 2013

I più giovani e i più vecchi al potere 2012

Dopo aver pubblicato la lista dei più longevi Capi di Stato o di Governo del mondo al potere al 31 dicembre 2012, la liste delle donne al potere, proviamo a fare il punto sull'eta dei governanti.
Su 339 Capi di Stato o di Governo in carica al 31 dicembre 2012, 23 avevano superato gli 80 anni (erano 23 anche nel 2011 e 20 nel 2010) e solo 4 (8 lo scorso anno e 10 nel 2010) avevano meno di 40 anni. Uno solo aveva meno di 30 anni. Nel dettaglio, ecco le due liste :


Lista dei più anziani (come sempre evidenziati in rosso i leader africani):

1 - Il Governatore Generale di St.Kitts e Nevis, Sir Cuthbert Sebastian, 91 anni (ha lasciato l'incarico il 1 gennaio 2013)
2 - Il Presidente di Israele, Shimon Peres, 89 anni
3 - Il Presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, 88 anni
4 - Il Presidente Etiopia Girma Wolde Giorgis, 88 anni 
5 - Re d'Arabia Saudita, Abdullah, 88 anni

6 - Il Presidente dell'Italia, Giorgio Napolitano, 87 anni 
7 - Regina Elisabetta II del Regno Unito, 86 anni 
8 - Il Primo Ministro di Tunisia, Beji Caid Essebsi, 86 anni
9 - Il re di Thailandia, Bhumibol, 85 anni 
10 -Il Papa Benedetto XVI, 85 anni(gli stessi anni del Capo di Stato della Malaysia).

A seguito delle dimissioni del governatore generale di St. Kitts e Nevis, annunciate e regolarmente avvenute il 1 gennaio 2013, oggi il più anziano leader del mondo è il Presidente di Israele, Shimon Peres, che il 2 agosto prossimo raggiungere i 90 anni.

Per quanto riguarda i più giovani, solo 4 Capi di Stato o di Governo avevano, al 31 dicembre 2012, meno di 40 anni . Ecco la lista:

1 - Capo di Stato Corea del Nord, Kom Jong Yu, 29 anni

2 - Re del Bhutan, Klesar Namgyel Wangchuk,  32 anni

3 - Co-Capitano Reggente di San Marino, Teodoro Lonfernini,  36 anni
4 - Presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, 37 anni
5 - Co-Capitano Reggente di San Marino, Denise Bronzetti,40 anni
6 - Primo Ministro di Haiti, Laurent Lamothe, 40 anni

7 - Primo Ministro Dominica, Roosvelt Skerrit, 40 anni

8 - Presidente Nauru, Sprent Dabwido, 40 anni 
9 - Primo MInistro Romania, Victor Ponta, 40 anni
10 - Presidente Rep.Democratica del Congo, Joseph Kabila, 41 anni 
10 - Primo Ministro Lettonia, Valdis Dombrovskis, 41 anni
10 - Primo Ministro Finlandia, Jyrki Katainen, 41 anni


Nella lista dei 49 leaders mondiali che al 31 dicembre 2012 non erano ancora arrivati ai 50 anni d'età (sicuramente pochi), è evidente che i giovani provengono dall' Europa (20), dall' Africa (11),  dall'est europeo (4) e dall'Asia (4). Tra i "giovani" alla guida di grandi paesi vale la pena ricordare il Primo Ministro del Regno Unito David Camerun (46 anni), il Primo Ministro Turco Recep Erdogan (48 anni) e il neo-Presidente del Messico Enrique Pena Nieto (46 anni).

Per guidare un paese nel mondo bisogna essere maschi e anziani.

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- Giovani e vecchi al potere 2010
- Giovani e vecchi al potere 2011

giovedì 3 gennaio 2013

Donne al potere nel mondo - 2012

Il Presidente del Malawi, Joyce Banda (foto dalla rete)
Dopo aver pubblicato la lista dei più longevi Capi di Stato e di Governo in carica, affrontiamo ora la questione al femminile.

Rispetto agli ultimi due anni la situazione dei Capi di Stato o Capi di Governo donne, non solo non è migliorata, ma semmai è peggiorata.

Infatti, dei 339 Capi di Stato e di Governo in carica al 31 dicembre 2012 solo 23 erano donne (il 6,7%), che  già dal 1 gennaio 2013 si sono ridotte a 22 (erano 23 nel 2010 e 24 nel 2011).
Solo due paesi al mondo, la Danimarca e l'Australia (come lo scorso anno), al 31 dicembre 2011, avevano sia il Capo di Stato che il Capo di Governo donne. Se poi andiamo a vedere nel dettaglio, le donne che guidano Paesi che contano nello scacchiere mondiale (avendo reale potere), sono veramente poche.

Ecco la lista delle donne in carica al 31 dicembre 2012:

L'Europa è il continente dove si trovano il maggior numero di donne (9) (erano 10 lo scorso anno e 11 nel 2010) a Capo di Stato o di Governo esse sono, in ordine di anzianità alla carica:
- Regina Elisabetta II d'Inghilterra (Regno Unito)
- Regina Margherita II di Danimarca
- Regina Beatrice d'Olanda
- Cancelliere Germania, Angela Merkel
- Primo Ministro Islanda, Johanna Sigurdardottir
- Primo Ministro Croazia, Jadranka Kosor
- Primo Ministro Danimarca, Helle Thorning-Schmidt 
- Presidente Svizzera, Eveline Widmer-Schlumpf (sostituita l'1.1.2013)
- Co Capitano-Reggente di San Marino, Denise Bronzetti

Sono 5 le donne in Centroamerica (una in più rispetto al 2010 e 2011), ovvero:

- Governatore Generale Saint Lucia, Perlette Louisy
- Governatore Generale Antigua e Barbuda, Louise Lack-Tack
- Presidente Costa Rica, Laura Chinchilla
- Primo Ministro Trinidad e Tobago, Kamla Persad-Bissessar
- Primo Ministro Giamaica, Portia Simpson-Miller

Due (2) (erano 3 nel 2011 e 2 nel 2010) le donne alla guida di paesi dell'Asia:
- Primo Ministro Bangladesh, Sheikh Wajed
- Primo Ministro Thailandia, Yingluck Shinawatra

In Oceania sono 2 (come gli anni scorsi) le donne che guidano Governi o Stati:
- Governatore Generale Australia, Bryce Quentin
- Primo Ministro Australia, Julia Gillard

Due (2) anche in Sud-America ( erano 2 lo scorso anno e una nel 2010):
- Presidente Argentina, Cristina Kirchner
- Presidente Brasile, Dilma Rousseff 

Due (2) anche in Africa, (2 nel 2011 e una nel 2010):
- Presidente della Liberia, Ellen Johnson-Sirleaf
- Presidente del Malawi, Joyce Banda


Infine, nei Paesi dell'Ex-URSS è una sola la donna a Capo di Stato (era una nel 2011 ed erano 2 nel 2010):
- Presidente Lituania, Dalia Grybauskaite

Ecco la classifica delle dieci donne che da più tempo detengono il potere nel mondo:
1° - Regina Elisabetta d'Inghilterra (dal 1952), secondo posto assoluto dopo il Re di Thailandia
2° - Regina Margherita di Danimarca (dal 1972), quinta assoluta
3° - Beatrice d'Olanda (dal 1980)
4° - Governatrice di St. Lucia, Perlette C. Louisy (dal 1997)
5° - Cancelliera di Germania, Angela Merkel (dal 2005)
6° - Presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf (dal 2006)
7° - Governatrice di Antigua e Barbuda, Loiuse Lake-Tack (dal 2007)
8° - Presidente Argentina, Cristina Kirchner (dal 2007)
9° - Governatore Generale d'Australia, Quentin Bryce (dal 2008)
10°- Primo Ministro del Bangladesh, Hasina Wajed (dal 2009)

Questi numeri confermano ancora una volta come la rappresentanza femminile nel mondo della politica che conta, sia ancora un fatto residuale.

Ad oggi 78 dei 193 paesi indipendenti (il 40%) del mondo sono stati governati almeno un giorno da una donna nella loro storia. Nel corso del 2012 solo due paesi, entrambi africani, si sono aggiunti a questa lista, le Isole Maurizio e il Malawi.

Centroamerica (60%), Europa (59%) e Sud America (58%) sono le aree del pianeta dove si sono avute (o si hanno) più donne alla guida di uno stato. Dietro di loro, l'EX-URSS (40%), l'Asia (35%) e l'Africa (31%).  Fanalino di coda il Medio Oriente che su 13 stati sovrani solo uno ha avuto almeno una donna al potere (quell'unico stato è Israele).
Questo dato del Medio-Oriente non deve farci indurre in facili conclusioni. Vi sono grandi paesi mussulmani come il Pakistan che sono stati governati più volte da donne, di contro vi sono grandi democrazie come gli Stati Uniti e l'Italia che non hanno mai avuto una donna a capo del governo o dello Stato.


Per quanto riguarda le donne al potere in Africa, vi rimando al mio post su questo tema , purtroppo la situazione è rimasta, purtroppo, identica. Vi segnalo anche questo post di Sancara sulle donne nei parlamenti.

Vai ai post di Sancara:

mercoledì 2 gennaio 2013

Attaccati al potere 2012

Paul Biya, con moglie, ricevuti dal papa (www.lecamerounaisinfo.com)
Annualmente, Sancara pubblica la lista dei leader politici da più tempo alla guida di uno Stato (come Capi di Stato o di Governo), la situazione delle donne al potere e un'analisi sull'età dei governanti del mondo.
Tutte le liste sono aggiornate al 31 dicembre 2012.
La lista è frutto di una personale elaborazione comprendente i 339 capi di stato o di governo in carica in tutti i paesi del mondo sovrani e 494 capi di stato o di governo che hanno superato (consecutivamente o meno) i 10 anni al potere a partire dal 1900 e in paesi indipendenti.

Non vi è dubbio che guidare un paese per sessanta o anche trent'anni, significa farne qualcosa di personale. Nel mondo sono 29 i leaders che guidano i loro paesi da oltre 20 anni, anche non consecutivi, (2 da oltre 60, 3 da oltre 40, 8 da oltre 30 e 16 da oltre 20). Di questi 11 sono in Africa, 7 in Europa (tutti di case reali), 4 in Asia, 3 il Medio Oriente, 3 nell'Ex- URSS e 1 in Sud America. 

L'uomo che nel mondo da più tempo guida un paese resta il Re di Thailandia, Bhumibol, attaccato al suo regno dal lontano 9 giugno 1946. La lista nelle prime otto posizioni non è cambiata, mentre con l'uscita di scena del Presidente dello Yemen e del Presidente delle Maldive, vi sono due nuove entrate al 9° e 10° posto, con due capi di stato africani. Ecco comunque la lista completa dei primi 10 posti.

1° - Re Bhumibol di Thailandia - al potere dal 9 giugno 1946 (oltre 66 anni), salì al potere a 19 anni, oggi ha 85 anni 
2° - Regina Elisabetta d'Inghilterra, incoronata il 6 febbraio 1952 (da 60 anni al potere, oggi ha 86 anni) 
3°- Sultano Qabus ibn SAID dell'Oman, al potere dal 23 luglio 1970 (oltre 42 anni)
4° - Sceicco Sulman al Khalifah del Bahrain, al potere dal 16 agosto 1970 (oltre 42 anni)
5° - Regina Margherita II di Danimarca, incoronata il 14 gennaio 1972 (da 40 anni al potere)
- Re Carlo XVI Gustavo di Svezia, incoronato il 15 settembre 1973 (da 38 anni Re)
- Presidente Paul Biya del Camerun, al potere dal 30 giugno 1975 (Primo Ministro fino al 1982, poi Presidente per un totale di oltre 37 anni)
- Re Juan Carlos I di Spagna, incoronato il 22 novembre 1975 (da 37 anni al potere)
-Presidente Teodoro Obiang Nguema della Guinea Equatoriale, al potere dal 3 agosto 1979 (al potere da oltre 33 anni)
10°-Presidente Josè Edoardo Dos Santos dell'Angola al potere dall'10 settembre 1979(da oltre 32 anni).

In rosso i leader africani di questa speciale classifica. La lista prosegue con altri paesi africani come al 11° posto Robert Mugabe dello Zimbabwe (al potere dal 18 aprile 1980), al 16° posto Yoweri Museveni dell'Uganda (salito al potere il 26 gennaio 1986), al 17° posto il Re Mswati III dello Swaziland (incoronato il 25 aprile 1986) e al 18° posto Blaisè Campaore dello Burkina Faso (salito al potere dopo l'omicio di Thomas Sankara il 15 ottobre 1987).

L'Africa si conferma sempre più l'area del pianeta dove più difficilmente sembra esserci un ricambio democratico. Infatti, tolti i monarchi (che spesso hanno un ruolo marginale nella vita politica) è il camerunese Paul Biya  il primo "civile" da più tempo al potere nel mondo, seguito dai presidenti (o primi ministri) della Guinea Equatoriale, dell'Angola, dello Zimbabwe, della Cambogia, dell'Uganda, del Burkina Faso, del Sudan e del Ciad. 

Il Re di Thailandia detiene anche il record assoluto della maggiore "longevità al potere" dell'era moderna. Ovvero a partire dal 1900 e per stati sovrani.
Dietro di lui:
2°-Imperatore del Giappone Hirohito ( dal potere dal 1926 al 1989),l'unico, assieme al re di Thailandia e alla Regina Elisabetta ad aver superato i 60 anni al potere.
3°-Regina Elisabetta (ancora in carica),
4°-Principe Rainieri II di Monaco (1949-2005),
5°-Re Haakon VII di Norvegia (1905-1957),
6°-Principe Franz Joseph II di Liechtestein (1938-1989), l'ultimo ad aver superato i 50 anni al potere.
7°-Fidel Castro a Cuba (1959-2008),
8°-Regina Guglielmina d'Olanda (1900-1948),
9°-Re Hussain di Giordania (1952-1999)
10°-Kim il Sung della Corea del Nord (1948-1994).
Tra gli altri africani in questa lista troviamo al 14° posto Il negus Haile Salassie di Etiopia (al potere dal 1930 al 1976), al 20° posto il libico Gheddafi (1969-2011) e al 21° posto Omar Bongo del Gabon (1967-2009).

Tra le donne al potere (purtroppo sempre meno - ma il tema sarà trattato nel prossimo post) dopo le tre regine (Elisabetta d'Inghilterra. Margherita di Danimarca e Beatrice d'Olanda, che è al 12° posto) e la governatrice generale di Saint Lucia, Perlette Lousy (al potere dal 17 settembre 1997), che rivestono ruoli molto di facciata, la donna che da più tempo detiene nel mondo il potere è la cancelliera tedesca Angela Merkel, che pur navigando intorno alla 100° posizione assoluta, può vantare, con solo 7 anni di incarico, questo piccolo record. Dientro di lei, ad un solo anno di distacco, la presidente della Liberia e Premio Nobel Ellen Johnson-Sirleaf.

Infine vale la pena segnalare che nel corso del 2012 non sono stati uccisi uomini politici che avevano ricoperto nella loro vita incarichi di governo o di capi di stato (lo scorso anno furono tre, Abdul Aziz Abdul Ghani, ex primo ministro dello Yemen, l'ex Presidente dell'Afganistan Burhanuddin Rabbani, e il leader libico Mohamar Gheddafi).

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