lunedì 17 febbraio 2014

La semplificazione dell'odio

Le notizie, in genere poche e imprecise, che arrivano dal continente africano mettono a fuoco gli ennesimi drammi umani che da quelle parti assumono i connotati di vere e proprie catastrofi. Omicidi, mutilazioni, stupri di massa, violenze di ogni genere, fughe, esodi massicci, caos generalizzato e impotenza diffusa.

Nella Repubblica Centroafricana si vedono scene che ricordano il genocidio del 1994 in Ruanda, quando quasi un milione di persone vennero uccise, per lo più a colpi di machete, in poco più di tre mesi. Sono immagini che speravamo di non vedere mai più, sicuri che l'umanità avesse imparato la lezione. Non è stato così. In Nigeria da decenni le violenze scoppiano quasi quotidianamente e solo di rado, quando il numero dei morti diventa significativo perfino per l'Africa, varcano i confini del paese. 

Da noi le notizie giungano con schemi fissi. Guerra tra etnie diverse e lotta tra religioni. Entrambe le differenze generano massacri. Generalmente i titoli dei giornali richiamano l'attenzione sui cristiani uccisi dai mussulmani (ma avviene anche il contrario) come se in atto vi fosse il tentativo, studiato e consapevole, di una o dell'altra comunità, di prevalere sull'altra. Le testimonianze che ci giungono (vedi, ad esempio, questa intervista all'Arcivescovo di Bangui) però raccontano un'altra realtà.

Una realtà più complessa, fatta di situazioni di grande povertà (sempre a dispetto di ingenti ricchezza del sottosuolo), di assenza atavica dello Stato, di ingerenze internazionali di vario genere, di grande confusione e di assenza di progetti chiari per il futuro.
Una realtà che racconta anche di gruppi estremisti che radono al suolo i posti dove passano, spesso ignorando etnie e religioni.

Così come all'immagine di paesi in guerra, tutti contro tutti, si contrappone la drammatica situazione dei profughi (500 mila nella sola Bangui, ovvero la metà della popolazione) a testimoniare, come sempre, che è la stragrande maggioranza della popolazione (di qualsiasi etnia e religione) a pagare il carissimo prezzo della guerra.

Ancora una volta si ha la sensazione che, come avvenne in Ruanda, un piccolo gruppo di individui (in alcuni casi composto da persone che nulla hanno a che fare con il paese) è stato in grado di far diventare assassini persone comuni. I racconti dei vicini di casa a Bangui che si uccidono tra di loro, dopo aver convissuto pacificamente per decenni, sono gli stessi racconti di quanto avvenne a Kigali nel 1994. Fomentare insicurezza, odio, vendetta e paura del diverso è una caratteristica comune in tutte follie umane. Un nemico da odiare e a cui addebitare tutte le sofferenze e i mali. Così come è comune il racconto dell'assenza - nei luoghi chiave - di personale addetto alla sicurezza (polizia, esercito e truppe internazionali), anche quando gli eventi sono ampiamente prevedibili. Nella Repubblica Centrafricana le truppe internazionali sono presenti in modo massiccio (francesi, sudafricani, ugandesi, nazioni unite, comunità africana). In Ruanda il mondo restò a guardare e sembra che anche oggi le intenzioni siano le stesse.
Mentre, in Nigeria come in Repubblica Centroafricana, petrolio, diamanti e minerali continuano, come se nulla fosse successo, ad essere estratti e venduti dalle grandi multinazionali.

Sembra perfino una banalità affermare che senza una radicale trasformazione di questi paesi, di una seria lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali e di una politica capace di far ricadere sulle popolazioni parte delle grandi ricchezze, nulla è destinato a cambiare.

Certo è più comodo, e oserei dire più funzionale, raccontare che il motivo dell'odio sia un Dio o l'altro, perchè non solo ci esula dalle nostre responsabilità, ma attraverso la paura della "guerra di religione" compatta un grande fronte, anche nei nostri paesi.

Ecco un post di Sancara del 2011 sugli scontri in Nigeria
Ecco un recente post sulla situazione in Centrafrica






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