martedì 25 ottobre 2016

Gli Stati fragili: un problema mondiale

Quando nel 2010 Sancara affrontò per la prima volta (leggi post) la questione degli Stati in via di fallimento, dove ieri come oggi l'Africa "regnava" sovrana, riferivo di questa analisi fatta da Lester Brown (uno dei massimi esponenti del movimento ambientalista) proprio sul tema degli stati prossimi al fallimento.
La sua tesi era che se nel secolo scorso la principale minaccia derivava dal conflitto tra le superpotenze, oggi è data dagli stati in via di fallimento. Secondo Brown è l'assenza del potere (e non la sua concentrazione) a metterci a rischio. Gli stati in via di fallimento sono un problema internazionale perchè sono focolai di terrorismo, di armi, di droga e di profughi. Egli usava ad esempio la Somalia (al primo posto degli stati falliti fin dal 2008) divenuto una base per la pirateria, Iraq base per l'addestramento dei terroristi, l'Afghanistan leader della produzione mondiale di eroina e la Repubblica Democratica del Congo paese destabilizzato per la grande presenza di profughi ruandesi
La sua analisi porta a dire che la civiltà globale dipende da una rete funzionante di stati, capaci di controllare il diffondersi delle malattie come i fenomeni del terrorismo internazionale, ovvero capaci di collaborare al raggiungimento di obiettivi comuni come ad esempio quello dell'aumento della denutrizione nel mondo e la decrescita delle scorte alimentari. 

Oggi la situazione è esattamente come Brown l'aveva descritta, con l'aggiunta che la questione dei profughi ha assunto una rilevanza maggiore e non è più riferita esclusivamente al continente africano.
In questi anni si è passati dal concetto di Stato in via di fallimento (che richiamava troppo a questioni meramente economiche) al concetto di Stato Fragile, un modo diverso per definire paesi con istituzioni statali deboli o instabili, dove povertà, corruzione e violenza innescano una spirale depressiva che non trova soluzioni.
Anche quest'anno il The Fund of Peace - organizzazione indipendente americana sorta nel 1957 - ha pubblicato l'annuale indice di fragilità di 178 paesi del mondo, dove 12 parametri (economici, politici e sociali) vengono messi a confronto contribuendo così a compilare una graduatoria che parte dai paesi con un altissimo allarme di fragilità e si conclude con paesi molto sostenibili.
Il rapporto inoltre pone l'attenzione - per la prima volta -  sul fatto che la sostenibilità dei paesi è messa a dura prova dall'ondata di profughi, i quali, inutile sottolinearlo dipendono dalla fragilità degli stati da cui essi si muovono.
Si è creato un pericolo corto circuito che - così come nelle previsione di Brown - rischia di mettere in difficoltà l'intero sistema mondiale.

La lista del 2016 vede ancora una volta la Somalia (oramai in testa alla classifica da quasi dieci anni) quale stato a maggiore fragilità, seguito da Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Sudan, Yemen, Siria, Ciad e Repubblica Democratica del Congo - tutti in una situazione di estrema fragilità.

Inutile dire che dei 38 paesi definiti in uno stato di grave fragilità, bel 27 sono africani. Ovvero, metà dell'Africa (27 stati di 54) è in una situazione di grave fragilità.

Nella classifica alta,  ovvero tra i paesi maggiormente sostenibili, troviamo nell'ordine la Finlandia (da anni in testa alla classifica, ovvero al 178° posto), Norvegia, Nuova Zelanda, Danimarca, Svizzera, Australia, Irlanda, Svezia, Islanda e Canada.
 
L'Italia in 148 posizione (su 178) è sostanzialmente stabile (era in 147° nel 2013).

Quanto la fragilità degli stati incide su flussi migratori verso i paesi accessibili e che si trovano più in alto nella classifica della sostenibilità è di semplice deduzione e sembra avere una correlazione diretta. Nel corso del 2016 infatti sono giunti via mare in Europa circa 330 mila persone. Di questi il 28% dalla Siria, il 14% dall'Afghanistan, l'8% dall'Iraq, l'8% dalla Nigeria, il 5% dall'Eritrea e il 3% dal Pakistan.
Se scorriamo la classifica dell'indice di fragilità troviamo: la Siria al 6° posto, l'Afghanistan al 9°, l'Iraq all'11°, la Nigeria al 13°, l'Eritrea al 18° e il Pakistan al 14°.

Questo porta a dire - senza paura di esseri smentiti e come diceva Brown- che dalla fragilità di quei paesi dipende la civiltà globale.

Stati in Via di fallimento, indice 2013

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