mercoledì 2 ottobre 2019

Dalla parte giusta del Pianeta

Forse i nonni della mia generazione, quelli che hanno patito la guerra e la povertà, ricordano il significato, e qualcuno perfino l'esperienza, del "morire di fame". Viviamo in una società - la nostra - dove è molto più facile morire di esagerazione che di stenti. Dove è spesso il troppo a creare problemi alla nostra vita.
Recentemente il World Food Program ha pubblicato la mappa della fame nel mondo, ovvero quei luoghi ove quasi un milione di persone muoiono di fame.


Inutile dire che un semplice sguardo alla cartina geografica ci mette nelle condizioni di comprendere una cosa molto semplice: siamo fortunati, abitiamo nella parte giusta del Pianeta!

Sia chiaro, questo non significa che i rimanenti 7 miliardi di abitanti del Pianeta se la pano tutti bene. Metà di loro (circa 3,5 miliardi) non sanno se domani potranno ancora mangiare.

A rafforzare questo quadro, non certamente piacevole per qualcuno, vi è un articolo apparso oggi sul Sole 24 Ore (con una bellissima galleria fotografica che vi consiglio di guardare) che torna a mettere al centro della questione uno dei luoghi più a rischio "esplosione" del nostro Pianeta. Una bomba ad orologeria, qualcuno l'ha definita, "l'area più vulnerabile" al mondo per gli effetti del cambiamento climatico. Sicuramente un luogo dove povertà, voglia di scappare, malessere, senso di marginalizzazione, corruzione e violenze,  stanno facendo covare un malcontento che prima o poi dovrà trovare sfogo.

E' una storia lunga quella del Sahel, dove gli allarmi si ripetono da anni (vedi questo post di Sancara del 2012 o quest'altro , sempre del 2012) ed ad ogni emergenza viene detto che bisogna intervenire, senza che poi mai, azioni concrete vengano messe in campo.
Siamo a fronte della solita questione, lavorare sulle emergenze è più conveniente sotto ogni aspetto. E' più facile ottenere finanziamenti, è più facile impietosire l'opinione pubblica (mostrare un bambino denutrito e sofferente all'ora di cena, stimola maggiormente il senso di colpa e fa aumentare la voglia di espiare le proprie colpe prima di gettarsi nelle nostre abbondanti tavole), è più facile chiedere misure emergenziali che permettono di eludere norme e vincoli e così via.
Di anno in anno (un pò come fatto per il clima) abbiamo attuato questa tecnica: aspettare l'emergenza per agire.  Il problema è che lentamente siamo scivolati verso una concatenazione di eventi che è sempre più difficile fermare.

Foto: Oxfam
Vi è un risvolto della medaglia che è bene mettere in luce. Gli studiosi di migrazioni hanno ben chiaro che "si sposta solo chi dispone dei mezzi necessari per migrare" (e su questo trafficanti di vario genere stanno facendo fortune), che in altri termini significa che il controllo delle migrazioni passa attraverso il fatto che popolazioni molto povere non migrano. In uno straordinario libro ("Fuga in Europa"), l'analista Stephen Smith sostiene che il potenziale migratorio africano verso l'Europa è di circa 150-200 milioni di persone, se (ed è questo il punto cruciale) le loro condizioni economiche miglioranno quel tanto da farli partire!

Infatti, per ora, come sostiene l'Istituto Affari Internazionali, "le migrazioni dal Sahel sono praticamente nulle", mentre quasi tutti i Paesi dell'area sono zone di transito dove proliferano criminali di varia natura e quelle forze, crescenti negli ultimi tempi, di matrice anti-europea. 

La bomba che abbiamo innescato probabilmente non ha più nessuna possibilità di essere fermata. La scommessa dei prossimi anni (non più decenni) è quella di trovare la chiave affinché l'esplosione venga ritardata più a lungo possibile.








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