giovedì 31 luglio 2014

L'auto africana

Qualche giorno fa ho letto l'interessante post di Fulvio Beltrami sulla nascita in Uganda della prima casa automobilistica del continente (in realtà gia nel 2012 la Tunisia aveva presentato la Barkia, autovettura progettata e costruita nel paese). Una notizia che Fulvio commenta correttamente come parte del processo di industrializzazione africano e tappa obbligatoria per uscire dal sottosviluppo.

La questione delle auto (ma più in generale dei trasporti) in Africa è complessa e per molti versi divertente. La parte seria è che l'Africa è l'unico continente che non produce automobili (nemmeno per conto di altri, ad eccezione del Sudafrica), ha il più basso numero di auto rispetto alla popolazione e al tempo stesso è un mercato ampio e di sicura espansione.
In Africa permangono problemi infrastrutturali (le strade, fuori dalla grandi città, sono in pessime condizioni) o ancora non asfaltate. Risentono fortemente delle mutazioni climatiche: piogge e siccità richiedono doti di guida meno comuni. Distributori ancora poco diffusi. Certo quel che si vede sulle strade africane è fantastico.

L'auto è un mezzo di trasporto e come tale va ottimizzato, caricando tra umani, merci e animali, tutto il possibile.
Oggi il mercato delle auto in Africa è in mano ai giapponesi. Le auto maggiormente in circolazione sono  nell'ordine Toyota, Nissan, Honda, Madza, Mitsubishi, Subaru, Suzuki, Isuzu, Daihatsu e Hino. Solo dopo arrivano le auto europee, capeggiate da Mercedes, Bmw, Volkswagen, Audi e Peugeot. E infine la Ford e la Land Rover. Inutile dire che il mercato africano. per l'Italia. non esiste.
Vi è da aggiungere che l'Africa detiene il record mondiale di auto di seconda mano, che per 80% sono di marche giapponesi. Del resto le auto giapponese (in testa SUV e in genere fuoristrada) hanno maggiore affidabilità e possono contare su un efficiente servizio di assistenza e di pezzi di ricambio. Naturalmente l'Africa è diventata una discarica di auto usate. Dai porti africani fuoriescono ogni giorno rottami (e non solo) di auto che il mercato europeo respinge e che in Africa trovano nuova vita.
Del resto la vita delle auto che giungono in Africa è pressoché eterna.
I giapponesi hanno saputo sostituirsi con velocità alle auto francesi (la Renault e la Peugeot in primis) che rappresentavano un quasi monopolio in Africa fino ai primi anni post-coloniali.

Io resto affascinato dalla capacità di stipare bagagli e persone (vedi questo post sul Taxi Brousse), un'arte che viene praticata con grande naturalezza e maestria.

Sicuramente il mercato delle auto, per ora fiorente soprattutto nel campo dell'usato, diventerà ben presto una delle tante scommesse per l'Africa.

Buon viaggio!!!!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si può uscire dal sottosviluppo? Si, eliminandone le cause sia esterne che interne. Le principali cause interne sono le guerre fra gli stati, i governi spesso corrotti, gli atteggiamenti dei popoli che hanno una mentalità tradizionalista e non sempre disposta al cambiamento. Le cause esterne riguardano essenzialmente la politica economica mondiale, che di fatto favorisce i paesi più ricchi, e la distribuzione delle risorse nel pianeta. Incidere sul problema del sottosviluppo richiede perciò un intervento in molti settori, per esempio sul commercio mondiale, sul debito estero, sulle condizioni di vita delle popolazioni. Se per esempio la gente di un villaggio è mal nutrita, analfabeta, senza cure mediche, beve acqua infetta, abita in case non sane e senza servizi igienici, è inutile intervenire solamente nel settore sanitario, perché quando la gente, una volta curata, tornerà a casa, visto che le condizioni di vita sono sempre le stesse, si ammalerà di nuovo. Il sottosviluppo genera infatti un circolo vizioso, quindi per eliminarlo bisogna romperlo contemporaneamente in più punti. Il vero sviluppo deve nascere prima di tutto dall'interno della comunità e non può essere imposto dall'esterno. Perché un progetto di sviluppo abbia successo è indispensabile che la comunità creda nei suoi benefici e quindi che le persone vogliano uscire dalla povertà contando soprattutto sulle loro forze. Fondamentale è comunque anche il ruolo dei paesi del Nord, che devono adottare politiche economiche e di sviluppo diverse da quelle attuate fino ad ora, che hanno contribuito esclusivamente ad aumentare le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Come già detto, è necessario: intervenire sui meccanismi del commercio mondiale e sulla distribuzione delle risorse materiali, finanziarie, umane; mettere in atto politiche di cooperazione allo sviluppo; pensare una politica finanziaria che preveda la cancellazione del debito, essendo il debito estero uno dei grandi ostacoli allo sviluppo. Anche i privati cittadini dei paesi del Nord possono però adottare dei comportamenti che favoriscono lo sviluppo dei paesi poveri, spostando gli equilibri verso un modello economico più giusto e rispettoso delle esigenze di tutti gli abitanti della terra. Possono per esempio acquistare prodotti del Commercio Equo e Solidale, che provengono da organizzazioni che operano con le comunità locali dei paesi africani, o mettere in atto pratiche di boicottaggio nei confronti di quelle imprese, in particolare le multinazionali, che sfruttano sia le risorse sia i lavoratori del Sud ricavandone enormi guadagni.

Jean Pierre Honla

Gianfranco Della Valle ha detto...

Come si fa a non condividere? Il problema che nella pratica, modelli e teorie si scontrano che realtà complesse, interessi non sempre limpidi e ancora molto di più. Vi e' una unica certezza: se l'intervento non è sistemico, come da te sottolineato, le vie delle sviluppo sono precluse.
Grazie del prezioso intervento.
Gianfranco, Sancara

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