giovedì 20 marzo 2014

Per colpa dei rifiuti

Sono passati esattamente 20 anni dal quel drammatico 20 marzo 1994, quando in Somalia, a nord di Mogadiscio, la giovane giornalista del TG3 Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin furono uccisi.
Certo, fare i giornalisti in paesi di guerra, può essere rischioso. E' il prezzo che in molti hanno pagato, per voler semplicemente raccontare, dal posto, quello che realmente accadeva. Ma, la storia di Ilaria e Miran è diversa. 


Ilaria stava indagando, con quello spirito del giornalismo d'inchiesta e con la forza di chi crede in mondo diverso, su un illecito e pericolosissimo scambio, tra rifiuti tossici nocivi (provenienti dall'Italia e non solo, anche da Germania e Francia) e forniture di armi (provenienti dal disfacimento dell'impero sovietico).

Uno scambio che basava le sue premesse in due punti essenziali. La Somalia, dalla caduta di Siad Barre avvenuta il 25 gennaio 1991, era nel caos totale. Una guerra civile, condotta da signori della guerra senza scrupoli, che si contendevano, metro per metro, il controllo della capitale Mogadiscio e del territorio, bisognosi di armi. Una situazione ideale per le organizzazioni criminali e affaristi senza scrupoli: barattare rifiuti tossici (ovvero la possibilità di abbandonarli in luoghi ove nessuno chiedeva e controllava) in cambio di armi provenienti dagli ex-arsenali (e dalle fabbriche) russe, oramai sotto il totale controllo delle mafie.

Il sistema di abbandono dei rifiuti in Somalia (già documentato da rapporti confidenziali del 1993) era collaudato: una carretta del mare, che veniva affondata nelle acque territoriali con tutto il suo carico oppure migliaia di tonnellate di rifiuti sotterrati nella zona costiera di Obbia e ancora sedimi stradali imboniti di rifiuti e poi coperti con l'asfalto. 
I rifiuti? Di tutto e di più: scorie nucleari mescolati con sabbia e terra o con granulato di marmo, sostanze chimiche altamente nocive contenute in fusti e perfino in bottiglie, rifiuti ospedalieri biologicamente nocivi e veleni di ogni genere.

Uno stato come la Somalia, tecnicamente fallito, era (ed è ancora) il luogo ideale per queste porcherie. Nessun controllo, costi bassi e certezza di nessun disturbo. Certo nessuno aveva messo in conto che una giornalista italiana faceva troppe domande, indagava, riprendeva e riusciva con la determinazione solo di chi crede veramente nel suo lavoro, a scucire qualche bocca.

No, questo non poteva essere tollerato. 

A vent'anni di distanza, la Somalia, è ancora nel caos più totale (sebbene, e questo potrebbe essere una svolte, si intravede un timido spiraglio), l'Africa è ancora una pattumiera (i nostri rifiuti tossici, le carcasse delle navi, l'elettronica da buttare vengono ancora generosamente donati al continente nero) e nonostante i processi, la verità sulla morte di Ilaria e Miran è ancora lontana.

Il segreto di stato ancora blocca molti documenti e le autorità somale, nell'anarchia più totale non erano in grado di collaborare. Un segreto che copre responsabilità e nomi di chi, ancora impunito, svolgeva quei traffici, sicuramente con la complicità di pezzi del nostro Stato.

Ilaria e Miran hanno pagato con la vita la loro voglia di conoscere, di documentare, di informare e infine, di poter cambiare.
L'Africa continua a pagare il caro prezzo del nostro sviluppo. 

Ecco la sito d'informazione su Ilaria Alpi, il link al documentario Toxic Somalia di Paul Moreira

Vedi il post di Sancara, Quando informare è pericoloso


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