mercoledì 7 dicembre 2011

Quando i nomi cambiano

Dal 2012, Pretoria, la popolosa città sudafricana (oltre 2 milioni di abitanti), nonchè capitale amministrativa del Paese,  assumerà il nome Tshwane. In realtà il nome Tshwane è quello già usato per indicare la città, mentre Pretoria si riferisce ad una zona particolare. Di fatto, come ha annunciato il sindaco della città, si tratta di eliminare un riferimento - quello al boero Andries Pretorius - che risulta essere molto scomodo per la popolazione (Pretorius nel 1838 fu a capo della sanguinosa battaglia di Blood River che colorò di rosso il fiume con il sangue di oltre 3000 zulu uccisi in battaglia dai boeri). Il sindaco ha anche annunciato che modificherà la toponomastica delle città assegnando alle vie i nomi degli eroi della lotta contro l'apartheid.

Il cambiare nome alle città (che in Africa sub-sahariana sono state fondate, quasi tutte, nel senso moderno del termine, con l'arrivo degli esploratori o dei coloni) o addirittura agli Stati, è un fatto che in Africa ha avuto inizio nei primi anni della decolonizzazione.  
Alcuni casi erano già avvenuti agli inizi degli anni '60, come Orleansville in Algeria che nel 1962 divenne Al-Asnam (oggi si chiama Chlef), ma l'impulso deciso a questa nuovo modo di intendere l'africanità fu quello dato, ironia della sorte da "un'anima nera" africana, quel Laurent Desirè Mobuto (che nel 1972 assunse il nome Mobutu Sese Seko). Egli lanciò una vasta campagna di africanizzazione dei nomi (e della cultura in genere) iniziata il 3 maggio 1966 quando la capitale del Congo, Leopoldville, città fondata da Henry Stanley nel 1881 in onore del Re del Belgio Leopoldo II, divenne l'attuale Kinshasa (prese il nome di un piccolo villaggio alla sua periferia). Fu poi la volta di Elisabethville che divenne Lumumbashi e poi di Stanleyville che diventò l'attuale Kisangani e di molte altre città minori. Fu poi nel 1971 che Mobutu decise di cambiare anche il nome al paese, ridenominandolo Zaire (nome che fu mantenuto fino al 1997, alla caduta di Mobutu), oggi Repubblica Democratica del Congo.
Pochi anni dopo, nel 1973, fu la volta di Fort Lamy, città fondata dai francesi nel 1900 che assunse l'attuale nome di N'Djamena (capitale del Ciad) sulla spinta di quel processo di africanizzazione voluta da Francois Toumbalbaye (egli stesso cambiò in nome in Ngarta).
Nello stesso anno, Bathrust (nome dato in memoria del segretario dell'ufficio coloniale Henry Bathrust), capitale del Gambia, assunse l'attuale nome di Banjul.
Nel 1975 toccò a Lourenco Marques (dal nome di un'esploratore portoghese) che all'indomani della conquista dell'indipendenza del Mozambico assunse l'attuale nome Maputo.
Il 18 aprile 1982, in occasione del secondo anniversario dell'indipendenza dello Zimbabwe (che già aveva cambiato nome da quello coloniale Rhodesia - in onore dell'imprenditore e politico britannico Cecil Rhodes) si volle cambiare il nome della capitale Salisbury (da Robert Cecil marchese di Salisbury) nell'attuale Harare che era il nome di un capo-tribù shona, a sottolineare dopo una lunga parentesi di governo bianco razzista, la riconquista del potere da parte dei neri.
Infine, il 4 agosto 1984, sulla spinta delle rivoluzione burkinabè voluta da Thomas Sankara, l'Alto Volta (nome che esprimeva una connotazione geografica) divenne Burkina Faso, che nelle due lingue locali più diffuse, significa "paese degli uomini integri", che ben accompagnava quella straordinaria esperienza rivoluzionaria purtroppo interrotta dall'assassinio di Sankara avvenuto il 15 ottobre 1987.

Sicuramente i nomi non determinano sviluppo e progresso. Non favorisco l'eliminazione di tutti quei mali di cui l'Africa stenta a liberarsi. Favorisco però quel senso di identità e di cultura, che in molti luoghi del pianeta si fatica a conquistare.



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