sabato 8 settembre 2012

Il Gambia e le condanne a morte

Suscitano molta indignazione le notizie che provengono dal piccolo stato dell'Africa Occidentale. La storia della donna senegalese, Tabara Samba,  condannata a morte per l'omicidio del marito (avvenuto nel marzo 2007), violentata prima dell'esecuzione, avvenuta il 23 agosto scorso, e infine mutilata, ha generato orrore.
La notizia, pubblicata sul giornale online del Gambia, Freedomnewspaper, è stata ripresa da alcuni siti come Leggo e Il Giornale.
Jammeh con i coniugi Obama, dalla rete
I particolari sono agghiaccianti e naturalmente se confermati oltre a chiamare in causa lo stesso Presidente Jahya Jammeh (che avrebbe istigato la violenza irritato dagli appelli contro questa condanna a morte), i militari che hanno commesso il crimine, il Ministro dell'Interno Lamine Jobareth che ha fatto apologia del reato, coinvolgono, stando alle testimonianze anche due medici, probabilmente cubani, e un magistrato gambiano. Un caso che bisogna seguire. 
Vi sono però alcune cose che necessitano di essere approfondite, perchè come spesso accade dalle nostre parti, destano scalpore e fanno notizie eventi così orrendi, per poi, il giorno dopo dimenticare quasi tutto.
Tabara Samba è stata condannata a morte, dopo processo, nel settembre del 2007, nessuno fino ad oggi aveva scritto un trafiletto su questo fatto. Come lei erano, fino ai primi di settembre, 44 (47 secondo altri fonti) i detenuti del Gambia in attesa di essere giustiziati (vedi Rapporto 2012 di Amnesty International).

Il 27 agosto scorso, assieme a Tabara Samba, unica donna, sono stati giustiziati nove persone, tra cui tre militari responsabili del tentato golpe del 1997. I civili erano tutti condannati per omicidio.
Si trattava, contrariamente a quanto scritto da molti, della prima esecuzione dopo 31 anni (l'ultima - e unica dopo l'indipendenza proclamata nel 1965 - fu quella di Mustapha Danso, nel settembre 1981, colpevole di aver assassinato un ufficiale durante il tentato golpe del 1981). 
Fino al 30 giugno 2012 l'Associazione Nessuno Tocchi Caino, che si occupa della lotta alla pena di morte nel mondo, classificava il Gambia come paese "abolizionista di fatto". Purtroppo questa classificazione dovrà essere riveduta in negativo.

A fine agosto il Presidente Jahya Jammeh - che guida il paese da un golpe avvenuto nel 1994 -  aveva annunciato di voler eseguire tutte le condanne a morte entro la fine di settembre. Secondo alcuni il messaggio era un avvertimento alle opposizioni.
In questi 18 anni alla guida del Paese, Jammeh (era salito al potere che aveva 29 anni), ha via via ridotto gli spazi democratici e ad ha severamente censurato la stampa e la critica all'operato del suo governo. Nonostante questo è stato rieletto nel 1996 e nel 2006. 
Nel paese crescono le proteste contro quello che da più parti è definito un dittatore.

Se fossero confermati i fatti relativi a Tabara Samba - di fronte alle atrocità, come scriveva Silvana Arbia si spera sempre che non siano veri -  getterebbero una tale luce negativa nei confronti di Jammeh e dell'intero Gambia, che certamente imporrebbero una seria discussione, e condanna, della Comunità Internazionale. Del resto il Gambia, oltre ad ospitare la Commissione Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli, è anche la patria di Fatou Bensouda, da poco divenuta Procuratore Generale della Corte Penale Internazionazionale.
Al tempo stesso la barbara violenza su Tabara Samba, non deve far dimenticare la situazione dei diritti civili e delle condanne a morte, che sconvolge il Gambia e che necessità di una maggiore attenzione internazionale.

Per approfondire un post di Sancara, sulla Pena di morte in Africa

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