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sabato 27 febbraio 2016

Riserva Naturale Air-Tenerè

La Riserva Naturale dell'Air e del Tenerè è una riserva naturale del Niger istituita nel 1988. Oggi è una delle più grandi aree protette dell'Africa con oltre 7,7 milioni di ettari. Nel 1991, a causa del suo particolare ecosistema, per essere l'habitat naturale per la sopravvivenza di alcune specie di gazzelle e per la scarsissima presenza umana, è stata inserita tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO e dal 1997 è diventata una Riserva della Biosfera all'interno del programma Men and Biosphere (MAB) lanciato dall'UNESCO. La riserva che comprende una parte delle massiccio montagnoso vulcanico dell'Air (che giunge ad oltre 2000 metri dia altitudine) e una sezione del deserto del Tenerè, si compone di due parti: La riserva vera e propria di 64.560 chilometri quadrati e il Santuario Air e Tenerè dell'Adda (nato per proteggere la specie di gazzelle Addex o Antilopi del deserto - a rischio estinzione), di 12.800 chilometri quadrati. Dal 1992 il sito è stato inserito all'interno dei patrimoni dell'umanità a rischio a causa della instabilità politica (conflitti e tensioni legate all'insurrezione del popolo Tuareg) all'interno dell'area.
Nella riserva insiste la tipica vegetazione del deserto (dove piove molto poco) con alcune specie aggiuntive, tipiche della flora mediterranea e sudanese, che crescono sopra i 1000 metri di altitudine. Sono state classificate oltre 350 specie vegetali di quasi 200 generi diversi.
Sono invece oltre 40 le specie di mammiferi (oltre alle gazzelle vi sono felini e canini quali leopardi, iene, fennec e caracal e due specie di scimmie quali babbuini e eritrocebi) 170 quelle di uccelli (tra cui una quarantina di specie migranti) e una ventine quelle dei rettili (tra cui cobra e vipere).
La riserva è al centro di studi scientifici fin dalla metà del 1800, si sulle questioni naturalistiche (animali e vegetazioni), sia per quanto riguarda l'ambiente e infine il rapporto tra le popolazioni locali e un ecosistema fragile e per nulla facile.
Nell'area vi sono anche numero siti archeologici (nel medioevo l'area era parte del ricco Impero Songhai) e preistorici che segnano un'antica presenza degli uomini in queste terre oggi quasi inaccessibili.

Nella riserva della Biosfera (quasi 24 milioni di ettari) abitano anche circa 30.000 tuareg (di cui due-tre mila allevatori stanziali) occupati oltre che nell'agricoltura, nell'allevamento di cammelli e pecore. All'interno passa anche una delle più importati rotte trans-sahariane. Come previsto dal programma MAB dell'UNESCO il territorio della Riserva della Biosfera è suddiviso in tre aree: la Core area (oltre 1,2 milioni di ettari) che costituisce la riserva integrale inaccessibile all'uomo se non per la ricerca, una Buffer area (circa 6,5 milioni di ettari) dove vi sono insediamenti umani a bassissimo impatto e infine la Transitino area (16,2 milioni di ettari) dove sono previste attività economiche sostenibili.

La riserva è visitabile con fuoristrada (partendo da Agadez o da Arlit, la prima a circa 100 chilometri dalla riserva) mentre è possibile pernottare a Iferouane, da dove esiste anche la possibilità di effettuare delle escursione con i cammelli.

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mercoledì 11 aprile 2012

Parco Nazionale W Region

I confini del Parco della W Region
Il Parco Nazionale della W Region è una straordinaria area di biodiversità che interessa tre paesi: Niger, Burkina Faso e Benin dell'Africa Occidentale.
Il territorio complessivamente si estende per 1 milione di ettari (550.000 in Benin, 250.000 in Burkina Faso e 220.000 in Niger) ed è diventato zona protetta nel 1926 e dal 4 agosto 1954 è, per decreto, Parco Nazionale (tra i primi in Africa Occidentale).  
Oggi rappresenta il parco più esteso dell'Africa Occidentale. E' situato lungo i meandri del fiume Niger, che in quella zona forma, con le sue anse, una sorta di W, da cui il nome. La zona del Niger del Parco è dal 1996 Patrimonio dell'Umanità UNESCO e Riserva della Biosfera dell'UNESCO. Nel 2002, l'area della Riserva della Biosfera è stata estesa anche al Burkina Faso e al Benin, divenendo la prima Riserva transfrontaliera africana. Attualmente l'area complessiva della riserva della biosfera comprende oltre 3 milioni di ettari, di cui 1 milione di parco vero e proprio (core area, nelle definizioni delle Riserve, ovvero l'aria maggiormente protetta e soggetta ad attività di ricerca), 510 mila ettari di zona buffers (cioè abitata in modo ecosostenibile) e oltre 1,5 milioni di ettari di zona di transizione.
Caratteristiche anse del fiume Niger (da Wikipedia)
Del resto la zona del fiume Niger fin dal Neolitico è stata caratterizzata da una forte presenza dell'uomo che intereagiva con l'ecosistema ambientale.
A tal proposito vi segnalo questo articolo di Alessandra Ghisalberti, dell'Università di Bergamo, sulle migrazioni delle popolazioni nell'area del Parco W che sottolinea come le migrazioni delle popolazioni nell'area periferica della Riserva, rappresenti una questione strategica per la conservazione e la tutela della stessa.


Vi posto anche il link a questo video del Ministero del Turismo e dell'Artigianato del Niger, che presenta l'area "alla periferia" del Parc W du Niger, che vale la pena essere visto.

Il parco è caratterizzato dalla presenza dei grandi mammiferi (ippopotami, bufali, leoni, leopardi, giraffe, elefanti) ed in particolare dall'esistenza degli ultimi elefanti dell'Africa Occidentale e dalla rara Giraffa dell'Africa Occidentale (Giraffa camalopardalis peralta), che oggi sopravvive in natura con solo 200 esemplari e che una volta occupava l'area che si estende dal Senegal al Lago Ciad. Altra specie animale in pericolo che vive nel parco è il Licaone.
Inoltre sono state osservate oltre 350 specie di uccelli e una grande varietà di alberi e arbusti.

Il parco ha una struttura geografica collinare (altitudine tra i 200 e i 400 metri), ed è visitabile tutto l'anno, sebbene nella stagione delle piogge (giugno-settembre) l'accesso è molto più difficoltoso. I mesi migliori per vedere gli animali sono la stagione secca, tra febbraio e maggio.

Comunque ecco il sito ufficiale del Parco

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giovedì 21 ottobre 2010

Il World's Woman Report 2010 in occasione della Giornata Mondiale della Statistica

Ieri, 20 ottobre 2010, è stata la prima Giornata Mondiale della Statistica. Un evento voluto per sottolineare la grande importanza dei servizi di statistica, nazionali e internazionali, nell'ambito della conoscenza di innumerevoli settori della ricerca e dello studio sociale, culturale ed economico. Insomma un omaggio (doveroso) a quanti quotidianamente si dedicano a raccogliere ed elaborare dati che ci permettono di comprendere, meglio e a fondo, la realtà in cui viviamo.

Nell'occasione si è voluto far coincidere nella stessa giornata la pubblicazione del World's Woman Report 2010, la cui prima pubblicazione avvenne nel 1991 e che dal 1995 viene aggiornato ogni 5 anni. E' un lavoro di grande approfondimento che abbraccia tutti gli aspetti del vivere al femminile. Da quelli generali (nel mondo gli uomini sono 57 milioni in più delle donne), a quelli legati alla salute (ovunque nel mondo le donne vivono di più), all'educazione (2/3 dei 774 milioni di analfabeti del mondo sono donne), al lavoro (il 52% delle donne è inserita nel mondo del lavoro, mentre lo è il 77% degli uomini), all'ambiente, alla povertà alla violenza.

In questo blog ho gia affrontato la questione al femminile in Africa. Rispetto, ad esempio, alla presenza delle donne nella politica, alla mortalità materna o agli stupri di massa, in relazione anche agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Ritenendo che il ruolo femminile nel mondo, e in Africa in particolare, necessità di una grande attenzione perchè è la chiave principale della trasformazione (e dello sviluppo).

Dell'interessante rapporto sulle Donne del Mondo, vi sono alcune cose che mi preme sottolineare.
Premesso che ovunque le donne vivono di più, il Giappone è il paese dove l'aspettativa di vita femminile alla nascita è più alta, con 86 anni - l'Italia, al 5° posto è a 84 anni. Viceversa, lo Zimbabwe e l'Afghanistan con 44 anni è il luogo dove le donne vivono meno. Si vive poco in Swaziland (45), Lesotho (46), Nigeria e Centrafrica (48) o in Angola, RD Congo, Guinea Bissau, Mali, Sierra Leone e Mozambico (49).
Le donne vivono, in Africa, di più in Libia (77), Tunisia e Maurizio (76), Algeria e Capoverde (74), Egitto (72).

Nei paesi dell'est e nel nord del mondo in genere, il 99-100% delle donne adulte sono capaci di leggere e scrivere (in Italia, 99%). Non è così ovunque, anzi. In Niger solo 15% è in grado di farlo, in Mali il 18%, in Burkina Faso e Ciad il 22%, in Etiopia il 23% e in Sierra Leone il 29%.
Il primato positivo africano è della Guinea Equatoriale (89%), seguita dal Sudafrica (88%), dallo Swaziland (86%), il Gabon e Sao Tomè (83%) e la Libia (81%).

Il 50% dei 33 milioni di individui sieropositivi all'HIV del mondo sono donne. Diventano però il 59% in Africa dove vi sono 22 milioni di sieropositivi (ovvero il 66% dei sieropositivi del mondo).
I dati si riferiscono al 2007 e dicono anche un'altra cosa : che i sieropositivi all'HIV erano 29,5 milioni nel 2001 e sono diventati, appunto 33 milioni nel 2007. Che nel 2005 vi erano stati nel mondo 2,2 milioni di morti per HIV/AIDS e che nel 2007 sono scesi a 2 milioni.

Nel report vi sono anche dei dati, che seppur parziali, raccontano di una situazione drammatica - in ogni parte del mondo - rispetto alle violenze fisiche (e quella sessuale in particolare) verso le donne.
Dei paesi che hanno fornito i dati, il 12% delle donne hanno subito violenze fisiche nella loro vita ad Hong Kong, mentre il 59% in Zambia, il 51% nella Repubblica Ceca e il 48% in Mozambico e Australia. (l'Italia è al 19%).
Per quanto riguarda le violenze sessuali il dato è - ammesso che sia possibile - ancora più allarmante dal 4% delle donne dell'Azeibargian (il 5% in Francia, il 23% in Italia) al 44% delle donne in Messico.

Infine il report (pag.135) produce anche i dati sulle mutilazioni genitali femminile (sul tema ritornerò con un apposito post) che sottolinea come - nonostante alcuni sforzi delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni non governative - la situazione resta ancora drammaticamente tragica.
Oltre il 90% delle donne (15-49 anni) della Guinea, dell'Egitto e dell'Eritrea sono mutilate, mentre lo sono oltre il 50% delle donne del Burkina Faso, dell'Etiopia e del Mali.
Ma il vero dato sconcertante è che tra il 1999 e il 2005 i tassi sono calati di pochissimo e in alcuni casi come il Burkina Faso e lo Yemen, sono additittura aumentati.

Un report che vi consiglio di leggere, per conoscere.

giovedì 14 ottobre 2010

Comunità di Sant'Egidio, l'ONU di Trastevere

Oggi Repubblica Online pubblica un interessante intervista a Marco Impagliazzo, attuale presidente della Comunità di Sant'Egidio a Roma.
L'Organizzazione non Governativa (ONG) della Comunità di Sant'Egidio, nata nel 1968 ad opera di Andrea Riccardi, storico e docente di Storia Contemporanea all'Università di Roma Tre, considerato uno dei più influenti laici nel mondo cattolico (proviene dalla file di Comunione e Liberazione), è da molti ritenuta una "piccola ONU" per il suo instancabile lavoro di mediazione nell'ambito dei conflitti dell'area africana e sud-americana.
L'intervista, curata da Daniele Mastrogiacomo, tocca molto l'Africa.
In questi giorni infatti la Comunità di Sant'Egidio media, lontano dai riflettori, sul conflitto in corso nel Niger. Mentre il risultato più tangibile resta l'accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992 con cui - dopo due anni di trattative - si pose fine alla guerra civile in Mozambico che durava dal momento dell'indipendenza nel 1975.
Certo, come ha avuto modo di ammettere lo stesso Impagliazzo, le condizioni internazionali di allora erano favorevoli poichè era finita la guerra fredda e cambiava la geopolitica mondiale. Personalmente aggiungerei anche che in Mozambico non vi era stato l'intreccio tra ideologia e strategia (che aveva dato origine alla guerra) e lo sfuttamento delle risorse (come invece è avvenuto ad esempio in Angola), poichè il paese è completamente privo di materie prime "appetibili".
Resta pur sempre il punto (l'accordo di pace ha funzionato molto bene) ha dato una grande visibilità e autorevolezza internazionale alla Comunità di Sant'Egidio facendola di fatto diventare una valida alternativa ai negoziati statali, una "diplomazia parallela".
Dell'intervista a Impagliazzo -che merita di essere letta con attenzione- vi è un punto che mi lascia perplesso e che mi ha fatto riflettere, ovvero quando sostiene che " in Africa i conflitti stanno diminuendo" e "che i veri problemi sono l'AIDS, la fame e le malattie".
Se è vero che in Africa alcuni conflitti storici hanno recentemente trovato soluzione - penso ad esempio agli accordi di pace in Etiopia - vi è un proliferare di crisi, (ad oggi sono 16 i paesi africani coinvolti in conflitti) in un contesto di "fallimento degli stati" (vedi il mio post su questo tema), che fanno ritenere la prima affermazione quantomeno da verificare.
Le vera questione africana è oggi quella del controllo delle enormi risorse del sottosuolo e dei fondali marini (e della terra e del mare). Solo potendo usare , per l'Africa e per la gente, queste risorse (ovvero gli enormi introiti che da essere derivano) sarà possibile avere una crescita economica (e quindi il famigerato sviluppo) dell'intero continente. Sarà possibile formare, in Africa, le prossime generazioni di dirigenti politici capaci di rompere quella catena di povertà e miseria, che ha nel furto delle risorse e nella corruzione la principale causa.
La fame in Africa non è frutto di carestie (a volte anche di queste) ma è figlia di una gestione scellerata della politica e delle risorse. I patrimoni personali - frutto della "cleptocrazia"- di alcuni capi di stato africani (di ieri e di oggi) sfamerebbero intere popolazioni.
Questo chiaramente senza nulla togliere all'effetto devastante che sta avendo in Africa l'epidemia di AIDS e la mancanza di farmaci per curarla.

Ma l'intervista di Impagliazzo finisce con un monito all'Europa, incapace "di investire sulla cultura" e con l'accusa alla politica di "non avere pensieri lunghi".

giovedì 30 settembre 2010

Mortalità materna in Africa, una sfida difficile

Morire di parto è difficile. Nel nostro vivere quotidiano la notizia di una morte durante il lieto evento riempe le pagine dei giornali e solitamente è dovuta ad errori diagnostici e/o imperizia durante l'assistenza al parto.
In altri luoghi del mondo invece la morte di parto è un evento da mettere in conto. In Sierra Leone - paese al mondo con il più alto tasso di mortalità materna - su ogni 100.000 parti di bambini nati vivi, vi sono 2100 morti materne.
In Italia, uno dei paesi al mondo con minor mortalità (il primo in assoluto è l'Irlanda con un tasso di 1/100.mila), il tasso si ferma a 3 ogni 100.000 nati vivi. Un abisso.
Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, vi è la riduzione di tre quarti, nel periodo 1990-2015, del tasso di mortalità materna nel mondo.
Un obiettivo, che stando agli ultimi aggiornamenti appare quantomai lontano. Nonostante i progressi (soprattutto nel Sud Est asiatico, in particolare), il calo di mortalità resta intorno al 2%. annuo. Per raggiungere l'obiettivo 2015 dovrebbe essere del 5,5% annuo.

Oltre alla Sierra Leone, il tasso di mortalità materna (il parto resta un evento naturale e non una malattia!) permane inaccettabilmente alto in Niger (1800), Ciad (1500), Angola e Somalia (1400), Ruanda (1300), Liberia (1200), Burundi, Guinea Bissau, Malawi, RD Congo e Nigeria (1100) e Camerun (1000).
Nel mondo fatto salvo l'Afghanistan che ha un tasso di 1800/100mila, nessun altro paese supera i 1000.
Tra i paesi Africani, a parte le Maurizio, che vanta un tasso di 15/100.000, è il Nord Africa ad avere tassi di mortalità, che seppur ancora alti, si avvicinano maggiormente al mondo sviluppato. In Libia (97), in Tunisia (100), in Egitto (130), in Algeria (180), Marocco (240).
In Africa Sub-Sahariana sono la Namibia e Capo Verde, con un tasso di 210/100.000 a garantire più adeguatamente la maternità.
Tra i paesi del mondo oltre all'Irlanda che ha il minor tasso di mortalità materna (1), vi sono l'Italia, la Danimarca, la Grecia, la Svezia e la Bosnia Erzegovina che con un tasso 3/100mila rappresentano l'eccellenza. La Germania è a 4, la Francia a 8, gli Stati Uniti a 11, la Russia a 28 e la Cina a 45.

Questi i numeri.

Le cause di questa strage, prevenibile, stanno in una molteplicità di fattori. Il primo è relativo alla percentuale di parti assistiti da personale sanitario. Vi è una diretta correlazione tra la bassa percentuale di parti assistiti ( 14,4% in Ciad, 32,9% in Niger, 42,4% in Sierra Leone, 47,3% in Angola) e la mortalità materna. Nei "paesi sviluppati" il 98-99% dei parti sono assistiti da personale sanitario. Il legame appare evidente poichè il 35% dei casi di morte materna è dovuta a emorragie post-partum, l'11% a cause direttamente collegate con il parto (come complicazioni del parto o del cesareo) e l'8% a infezioni , cause tutte facilmente trattatibili da persone qualificate.
Il secondo fattore che incide sulla mortalità è l'accesso ai controlli durante la gravidanza (Antenatal Care Coverage). Infatti mentre nei "paesi sviluppati" il 99% delle donne vengono seguite durante la gravidanza, in alcuni paesi questo tasso è estremamente ridotto. In Etiopia solo il 5,7% vengono visitate durante la gravidanza, in Ciad il 14,4%, in Eritrea il 28,3%, in Somalia il 33%, in Burundi il 33,6% e in Nigeria il 38,9%. Poichè il 18% delle morti materne è determinato dall'ipertensione (ovvero dalla gestosi - sindrome più complessa) risulta evidente che un controllo durante la gestazione è in grado di prevenire complicanze molto gravi.
A questi fattori si debbono ovviamente aggiungere il numero dei parti (in alcune zone dell'Africa il tasso di fertilità - ovvero il numero medio di figli per donna - è superiore a 6), la giovanissima età al momento del parto (in Africa sub-sahariana il 12% dello donne che partoriscono ha meno di 19 anni). Inoltre la povertà e la bassa scolarità rappresentano una concausa poichè esse si traducono in termini di minor accesso ai servizi sanitari e minor accesso alla contraccezione.

Per approfondire si veda il rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità "Trands in Maternal Mortality - 1990-2008"

La strada verso l'obiettivo del 2015 (riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna) appare ancora molto, molto in salita.

venerdì 17 settembre 2010

Il nucleare in Africa

Mentre il mondo intero discute (e si interroga) della nuova centrale nucleare in Iran- prossima all'avvio della produzione- altri 54 reattori (stando al rapporto 2009 dell'Iaea - International Atomic Energy Agency) sono in costruzione sul nostro pianeta (20 in Cina, 9 in Russia, 6 in Korea, 5 in India, 2 in Bulgaria, Slovacchia, Ucraina e uno in Argentina, Finlandia, Francia, Giappone, Pakistan, e Stati Uniti).
Certo la centrale iraniana ha un nome singolarmente ironico Bushehr (che sia dedicata alla famiglia Bush?). Progettata nel 1979 (prima della rivoluzione islamica di Khomeini), la costruzione fu interrotta nel 1980 allo scoppio della guerra Iran-Iraq. Solo nel 1994 i russi (perchè sono loro a costruirla) ripresero i lavori che il 21 agosto scorso hanno permesso di iniziate a caricare il combustibile.
Sono 437 i reattori oggi in attività nel mondo e di essi, 339 sono in attività da più di 20 anni.
Sono 104 i reattori negli USA, 59 in Francia, 54 in Giappone, 31 in Russia, 20 in Corea, 19 nel Regno Unito, 18 in Canada e India, 17 in Germania, 15 in Ucraina, 11 in Cina, 10 in Svezia, 8 in Spagna, 7 in Belgio, 6 in Repubblica Ceca, 5 in Svizzera, 4 in Slovacchia, Finlandia e Ungheria, 2 in Argentina, Brasile, Messico, Pakistan, Romania, Sud Africa e una in Armenia, Olanda, Slovenia.

In Africa esiste un'unica centrale nucleare (nella foto), con due reattori da 900 megawatt ed è in Sudafrica precisamente a Koeberg, vicino a Cape Town. Nella sede delle centrale viene anche stoccato tutto il combustibile esausto (scorie) non avendo ancora deciso, il Sudafrica, una politica seria sullo smaltimento. Costrita nel periodo 1976-1985 dalla francese Framatome (che era stata fondata nel 1958) (oggi Areva (già Cogema)- conosciuta agli amanti della vela per essere sponsor dell'imbarcazione francese in Coppa America, ma anche coproprietaria delle miniere di uranio in Niger e Gabon) ed entrata in funzione il 4 aprile 1984 (il primo reattore) e il 25 luglio 1985 (il secondo reattore). La centrale nel 2009 ha prodotto il poco meno del 5% dell'energia sudafricana.
La cosa curiosa è che la centrale nucleare è stata costruita durante il periodo in cui il Sudafrica - a causa dell'apartheid - era soggetta a sanzioni internazionali. Infatti nel 1973 le Nazioni Unite decretarono che l'apartheid fosse dichiarato un crimine internazionale. Così nel 1976 mentre entrava in vigore la Convenzione Internazionale per la Soppressione e la Condanna del Crimine dell'Apartheid, i francesi cominciarono a costruire la centrale nucleare di Koeberg. Insomma in quegli anni il Sudafrica a causa dell'apartheid non poteva partecipare, ad esempio, alle Olimpiadi (fu infatti esclusa dal 1964 al 1988) mentre poteva tranquillamente costruire con la cooperazione francese l'unica centrale nucleare di tutta l'Africa (e poi molti si chiedono perchè non funzionano le sanzioni internazionali).

Naturalmente sono molti i paesi che premono per entrare nel club nucleare. Sempre secondo il rapporto 2009 dell'Aiea, sono 60 i paesi (per la maggioranza in via di svuluppo) che hanno informato l'agenzia che sono interessanti a sviluppare un programma nucleare. Di questi stando all'agenzia, 17 paesi sono ad uno stato avanzato dello sviluppo (Emirati Arabi Uniti in testa).
In Africa in testa l'Egitto (quello che è più avanti e che ha già identificato il sito nella località di Al-Daaba, a pochi chilometri da Alessandria), poi Algeria, Marocco, Libia, Namibia, Nigeria, Ghana e Sudan.
Del resto il rapporto con l'uranio in Africa è molto stretto. Namibia e Niger sono tra i primi cinque estrattori di uranio a mondo (dopo Canada, Australia e Kazakistan), mentre il Sudafrica è nei primi 10 del mondo. Dalle miniere dell'attuale Repubblica Democratica del Congo proveniva l'uranio usato per la bomba americana che colpì Hiroshima, mentre il deserto del Sahara fu oggetto di una grande quantità di test atomici francesi negli anni '60). Al tempo stesso è un rapporto complesso e complicato anche sul versante bellico del nucleare (linko un interessante articolo del 2005 di Unimondo sugli intrecci nucleari in Africa, per chi avesse voglia di seguire questo filone).
Certo alcune cose lasciano sconcertati, come il regalino fatto dagli americani a Mobutu (allora presidente dello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo) negli anni '70. Un piccolo reattore nucleare sperimentale. Delle barre di uranio di quel reattore si sono perse le tracce nel 2001 , finite nell'ormai enorme commercio parallelo e criminale di uranio e suoi simili.