martedì 14 agosto 2012

Il turismo che uccide

Foto dal sito Avaaz
E' in corso una campagna internazionale (www.avaaz.org) per difendere il Parco Nazionale del Serengeti in Tanzania e la popolazione che in esso vive, i Masai
Una grande multinazionale del turismo - la Otterio Business Corporation, legata alla famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti,  è in procinto di acquistare un' altra fetta consistente del Parco per farne una riserva di caccia (avete capito bene, un luogo dove si fa caccia grossa e si spara a leoni e altri animali straordinari, molti a rischio di estinzione) per i ricchi del Medio Oriente. Questa operazione  rischia di far sgombrare circa 50 mila Masai dalle loro terre natie.
Dal sito di Avaaz è possibile informarsi e firmare una petizione. Naturalmente vi invito a diffondere la notizia. Parlarne - molto e oltre gli spazi, pochi , che i media danno - è il primo passo da fare.


Non è la prima volta che succede. Continuerà, purtroppo, a succedere anche nel futuro. I nostri divertimenti, le nostre passioni e i nostri amori possono diventare armi micidiali che colpiscono intere popolazioni. I viaggi in luoghi esotici del pianeta sono sempre più alla portata di tutti (meglio, alla portata di chi dispone di una quantità di denaro sufficiente), e giungere nel deserto del Kalahari o nella valle dell'Omo  (per rimanere nella sola Africa) è diventato facile quanto camminare nel centro di Londra o di Pechino.
Le agenzie turistiche che si occupano di viaggi nei luoghi remoti del pianeta nascono come funghi. Alcune hanno un grande rispetto per i luoghi e per le popolazioni che in essi vi vivono, altre sono al servizio dei clienti e cercano di esaudire qualsiasi loro desiderio (anche quelli illeciti) rischiando spesso di arrecare danni irreparabili e, altre ancora pensano che con il denaro tutto si può comprare, la vita prima di tutto.
Oggi nella rete girano migliaia di foto e di filmati che raccontano di viaggi nei luoghi più incontaminati e con le popolazioni più riservate e protette del pianeta. Se poi le donne sono belle e svestite o con un piattino sulle labbra ancora meglio (provate a cercare nella rete le parole himba o mursi ad esempio). E' chiaro che qualsiasi rapporto con popolazioni che ancora vivono in una dimensione rurale e isolata, rappresenta per esse un'opportunità e un pericolo. Alcuni di questi gruppi hanno adattato la loro indole e la loro cultura al turismo, in una relazione non sempre semplice. L'economia di alcuni villaggi si è trasformata da quella di sussistenza legata all'autosufficienza della loro produzione, ad un'economia legata al turismo e alle visite che gruppi dal mondo intero fanno presso di loro. Come sempre accade, queste trasformazioni hanno dei grandi vantaggi e creano degli enormi problemi. 

Il delicato equilibrio africano, che permette di convivere, a stretto contatto, popoli che vivono in una situazione quanto oggi più simile ai primi uomini sulla terra e una modernità che nulla ha da invidiare al nostro mondo ricco, deve essere tutelato. E' una ricchezza per il pianeta, è un patrimonio dell'intera umanità.

Certo il turismo di massa è l'ultimo degli attacchi al continente. La tratta degli schiavi, il colonialismo, lo sfruttamento delle risorse, il debito estero, la guerra fredda, il neo-colonialismo economico, lo sfruttamento idrico, la corruzione e il land-grabbing, hanno spianato la strada e hanno reso le cose più facili. Alcuni uomini neri, la loro ingordigia e l'amore per il denaro e il potere, hanno poi fatto il resto.

Oggi difendere le popolazioni locali dagli attacchi che giungono da più parti è un imperativo per chi crede nella giustizia e in un mondo più sostenibile.

Ne sanno qualcosa organizzazioni come Survival International  che da decenni si occupano di questi temi. Che combattono a fianco - spesso con successo - di piccoli gruppi etnici contro i grandi sfruttatori del pianeta. Anche per i Masai Survival da anni denuncia l'invasione delle grandi agenzie di turismo.



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